Un sindacalista di nome Francesco. Nuovo appello per lavoro e accoglienza. E ferma condanna della corruzione: “La Chiesa non sia ossessionata dal potere”

di Lapo Mazzei

Più che straordinario, rivoluzionario. Nel senso alto e nobile del termine, perché per fare una vera rivoluzione non serve prendere la Bastiglia di turno, ma occorre scardinare vecchie logiche, superare sistemi ancorati al sistema, rimettendo al centro l’uomo e non la politica, elevatasi a religione senza chiesa ma dotata di un catechismo rigido e talmente pervasivo da aver ridotto le regole della democrazia a fastidioso accessorio. Ecco, per queste ragioni Papa Francesco non è un pontefice straordinario, ma rivoluzionario, armato della parola e non di cannoni, di sano realismo e non di falso moralismo. Dove il lavoro è un valore vero e non uno strumento da piegare alle necessità, tarato sulle esigenze del momento da governo e sindacati. Perché, in fondo, tanto Palazzo Chigi quanto le triade sindacale di cosa si preoccupano realmente? Della persona o dei risultati? Del cosiddetto capitale umano o del valore elettorale che esso produce? Stando agli ultimi risultati la sensazione è che sindacati e esecutivo stiano giocando una partita per stabilire chi comanda e non chi tutela i lavoratori. Per quanto paradossale potrà sembrare, l’unico vero sindacalista in terra è colui che rappresenta il creatore dell’universo in cielo (metafora per i cristiani, le altre religioni libere di adattarla al proprio credo), dato che ha dimostrato di stare dalla parte degli ultimi e non dei primi. E gli ultimi di oggi sono tanti, molto più di ieri, e nella maggior parte dei casi non hanno tessere o sigle sindacali alle quali aggrapparsi nel momento del bisogno. A Prato, per esempio, Papa Francesco, ha incontrato una disoccupata ed esponenti religiosi delle comunità cinese, ucraina, polacca, romena, filippina, nigeriana e pakistana, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni di categoria. Frammenti, tasselli, segmenti di un modo composito e variegato che il rissoso universo sindacale non riesce a intercettare ancor prima che rappresentare. Ed per questo che il pontefice rivoluzionario ha teso loro una mano, tanto da ricordare quanto sia un problema la visione del lavoro dei cinesi, dove un operaio è uno schiavo. Lo dice il Papa, non la triade. E a Firenze il Pontefice ha colto l’occasione per un forte richiamo alla Chiesa cattolica, chiedendole di restare dalla parte dei poveri e del dialogo, Un richiamo anche ai giovani di “non guardare la vita da un balcone”. Infine un invito a tutti “a mettersi al lavoro per un’Italia migliore”.

LA LEZIONE
Ecco più che del Job Act di Renzi dovremmo occuparsi del Pope Act di Papa Francesco che esce dagli schematismi della politica per entrare nella dialettica del quotidiano, fatta di bisogni reali e non sogni impossibili. “I discepoli di Gesù non devono mai dimenticare da dove sono stati scelti, cioè tra la gente, e non devono mai cadere nella tentazione di assumere atteggiamenti distaccati, come se ciò che la gente pensa e vive non li riguardasse e non fosse per loro importante”, ha raccomandato Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata allo Stadio Franchi di Firenze, gremito da 40 mila fedeli. Un monito chiaro, che vola al di sopra dei corvi e dei vari Vatileaks. Ed il senso del messaggio del Papa non è trattabile, è. Invece, fra governo e sindaci, maggioranza e opposizione è tutto trattabile, anche il valore del Capitale umano. E quindi del lavoro. Meglio, molto meglio il Pope Act.