Una riforma che non fa scuola

Di Lapo Mazzei

Le linee guida saranno on line soltanto oggi, a partire dalle 10, sul sito del governo “passodopopasso” con il quale Palazzo Chigi certificherà il programma dei “Millegiorni”. Ma visto che la scuola sembra stare particolarmente a cuore al premier, Matteo Renzi ieri ha dato qualche anticipazione sulla riforma del mondo dell’istruzione. Un provvedimento tanto atteso, e poi rinviato, che doveva essere all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di venerdì scorso per poi essere rinviato all’ultimo momento. E se ieri l’altro Renzi, lanciando i “Millegiorni”, si è autosomministrato l’antidoto contro “l’annuncite” ieri, parlando di scuola, ha detto basta alla “supplentite” in quella che, premette il presidente del Consiglio nella sua newsletter, non sarà “l’ennesima riforma della scuola” ma un “nuovo patto educativo”. In questo “patto”, specifica Renzi, “proporremo agli insegnanti di superare il meccanismo atroce del precariato permanente e della supplentite, ma chiederemo loro di accettare che gli scatti di carriera siano basati sul merito e non semplicemente sull’anzianità: sarebbe, sarà, una svolta enorme”.

Più risorse all’istruzione
Nella scuola, spiega Renzi, “metteremo più soldi, ma facendo comunque tanta spending review: perché educare non è mai un costo, ma gli sprechi sono inaccettabili soprattutto nei settori chiave”, afferma il premier, aggiungendo che “nella legge di stabilità ci saranno le prime risorse e da gennaio gli atti conseguenti. Nel frattempo continueremo a investire sull’edilizia scolastica”. Insomma, un’altra bella manciata di buoni propositi e grandi intenzioni, il tutto condito da simil promesse e annunci spot. Non a caso il premier ha sottolineato che quelle del governo saranno “proposte”, non “diktat prendere o lasciare” e che “dal 15 settembre al 15 novembre ascolteremo tutti, a cominciare dagli studenti che sono per noi protagonisti, non spettatori”. Una sorta di ’68 rivisto e corretto, con l’esecutivo che veste i panni del rivoluzionario e i giovani assunti a ruolo di interlocutore. Più che una rivoluzione sembra di assistere ad una formidabile rivisitazione della Comune francese. “Chiederemo alle famiglie e agli studenti se condividono le nostre proposte sui temi oggetto di insegnamento, le materie, quelli che quando andavamo a scuola noi chiamavamo il programma”, afferma l’inquilino di Palazzo Chigi, gettando il cuore oltre lo steccato delle regole istituzioni, in modo da bypassare i sindacati, già pronti a fare le barricate. “E chiederemo ai presidi di fare di più”, annuncia Renzi, “aumentando competenze e responsabilità, ma anche snellendo la struttura amministrativa attraverso un percorso di digitalizzazione procedurale spinta”. Tanta roba, insomma, tante idee, anche se affastellate l’una su l’altra, nella speranza che il Consiglio dei ministri di oggi dia ordine al disordine.

Non bastano i buoni propositi
Quello sulla scuola è un impegno prioritario, ribadisce il premier, “l’Italia tra vent’anni non sarà come l’avranno fatta i decreti attuativi della Ragioneria dello Stato o le interviste dei ministri o gli editoriali dei professori. L’Italia sarà come l’avranno fatta le maestre elementari, gli insegnanti di scuola superiore, le famiglie che sono innanzitutto comunità educanti”. La rivoluzione dal basso, dunque, sembra essere l’idea portante del progetto renziano anche se il problema di fondo restano comunque i fondi, i soldi per realizzare le idee. Intanto, però, il mondo della scuola è già in fermento in attesa che i provvedimenti siano messi nero su bianco. “Io non mi sento orfano della consultazione prima della proposta del governo: il governo faccia la sua proposta, noi verificheremo, valuteremo e ci confronteremo”, afferma il segretario generale di Cisl Scuola, Francesco Scrima, ai microfoni di Radio Vaticana. Il sindacalista, nel commentare le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, pone l’accento, in particolare, sul capitolo delle supplenze. “Quelle che vuole eliminare il ministro sono le supplenze brevi. Per eliminare le supplenze brevi ci vuole l’organico funzionale. Questo significa un 10%, un 15% di organico in più assegnato alle istituzioni scolastiche. E, come sempre, tutto gira attorno al solito ritornello: Ma le risorse ci sono?