Usa, Snowden usò nome in codice ‘Verax’ per contattare il reporter

Era ‘Verax’ il nome in codice di Edward Snowden, il 29enne ex tecnico della Cia cha ha permesso a Guardian e Washington Post di far emergere lo scandalo Prism, sul programma di controllo delle comunicazioni lanciato dall’Agenzia di sicurezza nazionale Usa (Nsa). Proprio facendosi chiamare così il giovane avvicinò con cautela il giornalista del Washington Post Barton Gellam che nelle conversazioni veniva invece chiamato ‘Brassbanner’. Una serie di contatti indiretti anticiparono il loro primo incontro, avvenuto il 16 maggio. Secondo quanto scrive il sito del quotidiano britannico, all’epoca Snowden non si sentiva pronto a rivelare il proprio nome, ma era consapevole che sarebbe venuto alla luce.
CONSAPEVOLE DI RISCHI. “Sapevo che mi avrebbero fatto soffrire per le mie azioni, e che l’arrivo di questa storia al pubblico avrebbe segnato la mia fine”, scriveva il 29enne a inizio maggio, prima di prendere contatti diretti con il giornalista, avvertendo anche quest’ultimo dei rischi che avrebbe corso. La comuntà dell’intelligence Usa, scriveva ancora, “certamente ti ucciderà se pensa che tu possa essere l’unico” in grado di “fermare questa rivelazione”.
GARANZIE RICHIESTE. A garanzia che il suo piano venisse rispettato, Snowden chiese al Washington Post la certezza che nel giro di 72 ore venisse pubblicato il testo integrale della sua presentazione in PowerPoint del programma Prism, che prevede la raccolta di informazioni segrete da Microsoft, Facebook, Google e altre compagnie informatiche della Silicon Valley. Il giovane chiese inoltre al Post di pubblicare online una chiave crittografica da utilizzare per provare a un’ambasciata che era proprio lui la fonte dell’informazione.
LA RIPOSTA DEL WASHINGTON POST. Per contro Gellman rispose che il Post non avrebbe potuto dare alcuna garanzia su quanto della storia sarebbe stato pubblicato, o in che tempistiche. Il quotidiano britannico alla fine pubblicò la storia due settimane più tardi, ossia lo scorso giovedì. Prima di procedere, il Post chiese però il parere di funzionari governativi sulla possibile messa a rischio della sicurezza nazionale e quindi decise di pubblicare solo quattro delle 41 diapositive fornite da Snowden. Dopo lo scoop, quest’ultimo commentò: “Mi dispiace che non siamo riusciti a mantenere questo progetto unilaterale”. Al tempo stesso il giovane aveva preso contatto con Gleen Greenwald, del Guardian.
NO A SORVEGLIANZA TOTALE. Quando gli è stato chiesto delle preoccupazioni sulla sicurezza nazionale, l’ex tecnico della Cia ha risposto: “Siamo riusciti a sopravvivere a minacce ben più gravi nella nostra storia, rispetto a qualche disorganizzato gruppo terroristico e stati canaglia, senza ricorrere a questo tipo di programmi. Non è che che non do valore all’intelligence, ma mi oppongo alla sorveglianza onnisciente, automatica e di massa”. Ieri sera, mentre il suo nome veniva rivelato al mondo dai siti dei due quotidiani coinvolti, Snowden comunicava con Gellman da una stanza di hotel di Hong Kong, non lontana dalla base della Cia che ha sede nel consolato Usa. “Nella mia vita – ha scritto ancora il 29enne – non ci sono precedenti in questo tipo di cose. Sono stato una spia per quasi tutta la mia vita adulta. Non mi piace essere sotto i riflettori”.