Vassallo, il capitano costretto a fuggire dall’Etiopia

di Mimmo Mastrangelo

La finale di Coppa d’Africa giocata ad Addis Abeba il 21 gennaio del 1962 tra Etiopia-Repubblica Arabia Unita finì 4-2. Per i walyas (gli antilopi) fu una data storica ed indimenticabile, era la prima volta che conquistavano il titolo di campioni d’Africa, un’impresa che poi non verrà più bissata. Il capitano Luciano Vassallo andò a ritirare il trofeo dalle mani di Hailé Selassié, il monarca etiope amico del popolo deposto nel 1974 con un golpe militare e sostituito dal feroce dittatore Menghistu. Vassallo in quella finale realizzò la terza rete (un gol lo fece anche il fratello centravanti Italo) e del torneo fu nominato miglior giocatore. Nato ad Asmara nel 1935 da un soldato italiano ed una donna eritrea, lo chiamavano il Di Stefano del continente nero, in nazionale giocò 104 partite andando a segno la bellezza di 99 volte. Un record difficilissimo da eguagliare. Stupendo giostratore del centrocampo, il suo nome compare ancora tra i migliori cinquanta calciatori d’Africa di tutti i tempi. Aveva molti estimatori Vassallo, ma era pure molto odiato per quel marchio che si portava addosso di figlio bastardo di una coppia mista. Nell’Etiopia colonia dell’Italia fascista i bambini cosiddetti “meticci” furono oltre diecimila e subirono una doppia discriminazione: da una parte le leggi mussoliniane non gli riconoscevano pari diritti e dall’altra i connazionali si accanivano contro di loro in quanto figli del peccato, della vergogna, della sottomissione delle donne locali agli italiani invasori.
Nei club in cui militò il mezzosangue Vassallo dovette sgominare tanto per affermare il proprio talento ed entrare nelle grazie dei tifosi, ma nel frattempo imparò pure il mestiere di meccanico d’auto, visto che il solo calcio non gli dava il pane sufficiente per aiutare la famiglia che era stata abbandonata dal padre. Riparava motori e giocava a calcio Vassallo. Sul finire della carriera la Federazione Calcio dell’Etiopia lo mandò a Coverciano a prendere il tesserino di allenatore di secondo livello, al corso del centro fiorentino si ritrovò, tra gli altri, con Cesare Maldini, Luis Vinicio e Armando Picchi. Quel tesserino gli sarebbe servito per poter guidare la nazionale etiope agli inizi degli anni settanta, ma su quella panchina vi rimase solo poco tempo, la Federazione gli preferì il tedesco Peter Schnittger. Salito al governo Menghistu, Vassallo – che intanto ad Addis Abeba si era costruito una villa ed aperto una grande officina – fu arrestato con l’accusa di complicità con i vecchi governanti e, solo perché il capo della polizia era suo tifoso, fu rimesso in libertà. Sempre più stretto dalle minacce del regime, convinse la moglie e i quattro figli a trasferirsi in Italia.
Anche lui arriverà in Italia nel 1978, si stabilirà ad Ostia dove aprirà una scuola calcio che rimarrà attiva finché non gli toglieranno il campetto preso in gestione. Adesso Vassallo non vive più ad Ostia, ma in un paesino sempre vicino Roma. Dice che porta dentro solo rabbia verso l’Etiopia e i suoi governanti che gli tengono ancora confiscati tutti beni. Più volte ne ha chiesto la restituzione, ma non mai avuto una risposta. I suoi gol, quel prestigioso trofeo di cinquantuno anni fa non fanno né storia né lustro per il governo e la burocrazia di Addis Abeba. Nel 2000 è uscito per la casa editrice Coralli il romanzo autobiografico “Mamma ecco i soldi” in cui Vassallo ha raccontato la sua difficile vita di meticcio. Di mezzosangue che , però, ammaestrava da Dio la palla.