Zingaretti snobba la legge e nomina due incompatibili

di Valeria Di Corrado

La trasparenza non abita alla Regione Lazio. Il neo governatore Nicola Zingaretti, nell’arco di due giorni, ha fatto due nomine che violano il decreto legislativo in materia di incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni (n.39 dell’8 aprile 2013). Si tratta della nomina di Antonio Rosati a commissario straordinario dell’Agenzia per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura nel Lazio (Arsial) e di quella di Andrea Ciampalini a vice capo dell’Ufficio di Gabinetto.

Normativa disattesa
Era stata la legge anticorruzione n.190 del 6 novembre 2012 a delegare al Governo la modifica della disciplina degli incarichi nella pubblica amministrazione per evitare che si potesse creare un “conflitto con l’esercizio imparziale delle funzioni pubbliche”. Modifica messa in atto con l’approvazione del decreto legislativo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 19 aprile ed entrato in vigore a tutti gli effetti dal 4 maggio. “A coloro che nell’anno precedente siano stati componenti della giunta o del consiglio di una provincia della medesima regione – si legge nel testo di legge – non possono essere conferiti incarichi di amministratore di ente pubblico a livello regionale”. Eppure Zingaretti il 30 aprile ha firmato il decreto di nomina di Antonio Rosati, suo ex assessore al Bilancio alla Provincia di Roma, a commissario straordinario dell’Arsial, fino alla scelta del nuovo presidente (da effettuarsi entro il 31 dicembre 2013). A proporre la nomina di Rosati, l’assessore all’Agricoltura Sonia Ricci, rinviata a giudizio dalla Procura di Latina perché nella sua azienda “Agroama” si bruciavano rifiuti.

La gestione dell’Arsial
L’Agenzia per l’agricoltura ha un debito di oltre 10 milioni di euro e da due anni non approva il proprio bilancio. Nonostante un terzo dei suoi finanziamenti provenga da fondi comunitari. Il suo precedente presidente del consiglio di amministrazione Erder Mazzocchi, nominato dalla Polverini nell’ottobre 2010 dopo essere rimasto escluso dalla competizione elettorale a causa della mancata ammissione della lista di Roma del Pdl, ha dato le sue dimissioni il 23 gennaio scorso. E ora risulta indagato dalla Procura di Viterbo per abuso di ufficio sulla gestione del personale dell’Arsial. La reputazione dell’agenzia non è buona: molti lo vedono come un carrozzone di sprechi in cui si riciclano i trombati della politica. Fatto sta che Antonio Rosati non può ricoprire quell’incarico. Proprio lui che di incarichi, negli anni, ne ha collezionati tantissimi: come consigliere capitolino durante la prima e la seconda giunta Rutelli; presidente di Risorse per Roma spa dal 1997 al 2000; assessore al Bilancio alla Provincia di Roma nella giunta Gasbarra, prima, e Zingaretti, dopo. Diplomato in ragioneria, vanta di essere laureato in Economia alla “Link Campus University” di Roma, ateneo dell’Università di Malta istituito nel 1999, inserito nel sistema universitario italiano dall’ex ministro Gelmini e presieduto dall’ex sottosegretario agli Esteri Vincenzo Scotti. Nel curriculum di Rosati, tra le sue competenze, dice di “andare al cinema e a teatro, rilassarsi giocando a scacchi, leggendo un buon libro o ascoltando musica, di non farsi mancare la partita settimanale di calcetto e le lunghe passeggiate in montagna con gli amici, di amare la buona cucina e i vini pregiati”. Insomma il profilo più qualificato per risanare l’Agenzia regionale dell’agricoltura.

Il caso di “Sviluppo Lazio”
L’altro incompatibile è Andrea Ciampalini, nominato da Zingaretti vice capo di Gabinetto il 2 maggio scorso. Peccato che Ciampalini dal 4 aprile sia stato scelto dall’assemblea dei soci come presidente della società di diritto privato in controllo pubblico denominata “Sviluppo Lazio”, che si occupa per conto della Regione dell’attuazione delle politiche economiche e che vede l’80% delle azioni nelle mani della Pisana. Il decreto legislativo dell’8 aprile 2013 prevede che “gli incarichi dirigenziali, interni ed esterni, nelle pubbliche amministrazioni siano incompatibili con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della regione”. Risultato: un’altra nomina che vìola la legge anticorruzione. Sia nel caso di Ciampalini che di Rosati gli atti di conferimento degli incarichi sono nulli. Spetterà all’Autorità nazionale anticorruzione sospenderli. Nel frattempo i componenti deli organi responsabili delle nomine per 3 mesi non potranno farne di nuove e dovranno rispondere davanti alla Corte dei Conti delle conseguenze economiche. Tradotto: Zingaretti presto potrebbe trovarsi sul tavolo la prima sanzione da presidente della Regione Lazio.

 

Impresentabili, alla Pisana due pesi e due misure

di Sergio Patti

Due pesi, due misure e un peso massimo. Se si parla di trasparenza, alla regione Lazio nella versione Zingaretti le regole non sono uguali per tutti. E non serve il fiuto del commissario Montalbano per capire perché.
Vediamo i fatti. Il 5 aprile scorso, appena pochi giorni dopo l’investitura, l’assessore alle politiche sociali Paola Varvazzo si dimette da assessore alle Politiche sociali della Pisana. Il motivo: non lei, ma il marito è indagato dalla Procura di Roma per presunta concussione. Di provenienza prefettizia, Varvazzo non è una fedelissima del Pd. Indicata a Zingaretti dal mondo cattolico, in pochi giorni ha già fatto capire che vuol mettere ordine nella gigantesca spesa sociale della Regione. Dunque, pazienza se nel provvedimento firmato dal Pm Erminio Amelio la vicenda del marito con lei non c’entra nulla. Zingaretti/Montalbano la chiama e in quattroequattrotto le fa firmare le più classiche delle dimissioni “spintanee”. L’onore dell’istituzione Regione viene prima di tutto. Passa pochissimo, il 15 maggio scorso, e questo giornale tira fuori la notizia che un altro assessore di Zingaretti è nei guai con la giustizia. Si tratta dell’assessore all’agricoltura Sonia Ricci, rinviata a giudizio dalla Procura di Latina perché nella sua azienda “Agroama”, a Sezze Scalo, si bruciavano rifiuti. La Ricci prova a metterci una pezza e dichiara di essere solo una dipendente dell’azienda. Una toppa peggiore del buco, visto che La Notizia il giorno dopo svela che era stata lei stessa a dichiararsi alle guardie forestali tutt’altro che una semplice impiegata, ma addirittura “general manager dell’azienda”. Fosse governatore Montalbano, la Ricci sarebbe stata accompagnata alla porta più velocemente della Varvazzo. Ma governatore è Zingaretti, e allora la Ricci (al contrario dell’altro assessore, una fedelissima del Pd) resta al suo posto. D’altra parte sulla limpidezza del personale politico alla Regione Lazio si era già alzata bandiera bianca. E qui veniamo al peso massimo: lo stesso capo di gabinetto di Zingaretti, Maurizio Venafro, è rinviato infatti a giudizio su richiesta del Pm Giorgio Orano nell’inchiesta All Clean, con l’accusa di aver favorito una bancarotta da 400 mila euro. Anche su questo caso, però, Montalbano non si è sentito. E dire che c’è un caso da Chi l’ha visto alla Pisana: la trasparenza.