Allerta attentati. La crociata di Erdogan rischia di costarci caro. Razzante, esperto di antiterrorismo: “Anche noi nel mirino. Stiamo creando una pericolosa bomba ad orologeria”

“Questa guerra è un assist ad Isis e non mi stupirebbe scoprire che Daesh abbia foraggiato Erdogan per rimpinguare le casse disastrate del suo paese in cambio di un aiuto militare contro i curdi”. Non usa mezze misure il professor Ranieri Razzante, direttore del Crst (Centro Ricerca Sicurezza e Terrorismo), commentando la crociata del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan che sta destabilizzando il medioriente.

La Siria è considerata l’ultima roccaforte di Isis. Un territorio in cui lo Stato Islamico è stato tenuto a bada dalle milizie curde, ossia proprio quelle contro cui si sta concentrando l’offensiva turca. A che gioco sta giocando il presidente turco Erdogan?
“Semplicemente sono finiti i soldi che noi europei gli abbiamo dato, erroneamente, per fermare le migrazioni. Quelle che tra l’altro sono riprese da tempo senza che nessuno abbia detto nulla. Del resto che si tratti di un ricatto all’Europa non lo dico di certo io ma lo si evince dalle minacce turche di riversare 3 milioni di profughi sul Vecchio continente in caso di intromissioni”.

Che fine faranno le decine di miliziani di Daesh che sono state imprigionati dai curdi e che ora potrebbero tornare in libertà?
“Le carceri non reggeranno e i miliziani, tornando in libertà, troveranno accoglienza nella scuola dell’Isis che, a dispetto di quanto si dica, non è mai tramontata. Ci sono ancora migliaia di foreign fighters che fanno gli addestratori di professione e che di colpo riceveranno la manna dal cielo con cui ingrossare le fila della nuova Isis. Perché pochi lo dicono ma c’è un nuovo Stato Islamico, un Isis 2.0, che si è ricostruito sulle ceneri della vecchia organizzazione che era stata sbaragliata militarmente. Sono molto preoccupato e lo sono anche i nostri Servizi perché l’allerta è alta. Senza girarci intorno, si tratta di un grosso problema per la sicurezza nazionale nostra, per quella europea ma anche per quella americana. Non lo è di certo per Erdogan che non è mai stato un obiettivo di Daesh. A questo punto mi viene da pensare che Trump abbia dimenticato che i curdi hanno combattuto lo Stato Islamico”.

Crede che questo conflitto possa portare a conseguenze anche in Occidente, con una ripresa del jihadismo?
“Ci sarà una ripresa del jihadismo, questo è sicuro. Stiamo assistendo alla ricostruzione dell’Isis, che non è mai morto, grazie alla manovalanza a buon mercato, ossia quella dei detenuti che verranno liberati in Siria. Questi riprenderanno immediatamente la loro guerra sia interna, per conquistare i territori dello Stato Islamico (su tutti Siria e Iraq, ndr), che esterna cioè a Europa e America. Stiamo creando una bomba ad orologeria”.

Bisogna dire che i piani di Ankara non sono di certo spuntati fuori dal nulla ma erano noti da tempo. Eppure l’Europa e l’Onu non hanno ancora mosso un dito. A suo parere c’è un cortocircuito nelle organizzazioni internazionali?
“Guardi, lo denuncio da tempo: l’Onu ormai non si sa più cosa sia. Chi lo ha capito, me lo spieghi. Quel che è certo è che Europa e Onu non stanno gestendo per niente la crisi libica, quella siriana e nemmeno la questione mediorientale nel suo insieme. È incomprensibile perché i nostri servizi di intelligence, come anche quelli degli altri Stati europei, avevano segnalato da tempo le manovre turche ma Europa e i governi hanno continuato a parlare di altro come la spartizione di migranti, ossia del sesso degli angeli. Manca completamente una politica estera comune capace di gestire l’Erdogan di turno”.

Come se ne esce da situazioni come questa?
“Servirebbe istituire degli hotspot gestiti dai caschi blu dell’Onu, con la partecipazione anche di rappresentanti delle polizie dei diversi Stati, e creare delle zone cuscinetto per fare da forze di interposizione con compiti di pace. Ma il mondo è cambiato e non basta più il solo Onu, il quale per giunta ha bisogno di essere riformato, perché deve entrare in campo e prendersi le proprie responsabilità l’Europa. Sono vent’anni che si parla di creare un esercito dell’Ue e non si può più perdere tempo. Se lo avessimo, avremmo maggior peso politico e quelle stesse truppe potrebbero essere impiegate in supporto a quelle dell’Onu. Più in generale all’Europa manca anche una maggiore integrazione tra i servizi di intelligence europei perché viviamo nell’era dell’Informazione e chi la controlla, ha il destino nelle proprie mani”.