Attivismo senza sosta per il referendum. Giorgio Napolitano è il vero aspirante padre del Partito della Nazione

Giorgio Napolitano vero Presidente del “Partito della Nazione”. Oppure Giorgio Napolitano che continua a interpretare il ruolo di Capo dello Stato nonostante l’avvicendamento con Sergio Mattarella. Ci si può mettere d’accordo sull’espressione che si preferisce, ma un fatto sembra indiscutibile: Re Giorgio, lungi dall’essere uscito di scena dopo i saluti al Quirinale, continua a rimanere centrale nelle sorti del Governo, che nei prossimi cinque mesi coincideranno con la battaglia per far approvare agli italiani il referendum sulla riforma della Costituzione. Partita che può costare a Renzi l’uscita di scena dalla politica italiana.

INTERVENTI – Del resto se soltanto si mettono in sequenza gli interventi di Napolitano degli ultimi tre giorni, il suo attivismo è a dir poco impressionante. Ieri è stata la volta di un’uscita alla scuola politica dell’ex premier Enrico Letta (il quale dal canto suo ha confermato il sì alla riforma Boschi). “L’estrema incertezza delle elezioni del 1948 fece scattare la sindrome dell’ipergarantismo”, ha esordito Napolitano, e “da qui vennero le due debolezze fatali della Costituzione. Ovvero la posizione di minorità dell’esecutivo nell’equilibrio dei poteri e quella del bicameralismo paritario”. Il bicameralismo fin qui applicato dall’Italia, quindi, ormai per l’ex capo dello Stato è diventato una debolezza fatale che meritoriamente viene superata dalla riforma Boschi. Il giorno prima, però, i toni di Napolitano erano stati anche più duri, nel tentativo di rintuzzare critiche che certo non hanno smesso di piovere sull’ex inquilino del Quirinale: “Ci vuole libertà per tutti, ma nessuno però può dire: io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno”. Dire questo “offende anche me. Mi reca un’offesa profonda”.

IL PRECEDENTE – Canovaccio non dissimile da quello delle 24 ore precedenti. In quell’occasione, ancora intervenendo sulla questione riforma costituzionale, Napolitano aveva articolato più diffusamente il suo ragionamento. “Se ci fosse una sconfitta al referendum sulla riforma costituzionale”, aveva detto, “è chiaro che il presidente Renzi, senza poter dire che sia stata sua responsabilità, si troverebbe in una condizione difficile. Ma non vorrei che si parlasse ogni giorno di questo, di quello che farà Renzi. Noi ora dobbiamo parlare della riforma, di quello che è del perché è necessaria all’Italia”. Insomma, soltanto a fermarsi agli ultimi giorni si può agevolmente verificare l’attivismo di Napolitano. Quasi che l’ex Capo dello Stato, di fronte ai rischi di un fallimento a ottobre, voglia richiamare forte e chiaro un ruolo da garante di questa riforma e di come, al di là del fatto che non corrisponde a un optimum, in questo momento sia necessaria. Per questo prende sempre più corpo la suggestione di un Napolitano presidente del Partito della Nazione, ovvero di quel partito largo, capace di inglobare consensi ai lati e di governare con stabilità il Paese. Sempre che la scommessa sia davvero vinta.