Buzzi può corrompere ancora. Per i giudici deve restare in cella. Respinta la scarcerazione chiesta dalla difesa. I magistrati: il ras delle coop tornerebbe a delinquere

Probabilmente stava già pregustando il sapore della libertà. Eppure per Salvatore Buzzi ieri è arrivata una doccia gelata perché si è visto respingere l’istanza con cui, tramite i suoi legali, aveva chiesto la scarcerazione o almeno gli arresti domiciliari. E invece niente da fare, il ras delle cooperative, condannato a 18 anni e 4 mesi ma la cui pena andrà ricalcolata e abbassata, resterà in carcere a Tolmezzo fino a nuovo ordine. Eppure molti erano pronti a scommettere sull’accoglimento dell’istanza della difesa dopo l’esito favorevole del processo di terzo grado, con la Cassazione che ha fatto decadere definitivamente l’accusa di associazione mafiosa per tutti gli imputati, e la conseguente richiesta di cessazione del carcere duro – accolta dai giudici – dell’amico e socio Massimo Carminati.

Insomma c’era più di qualche motivo che faceva sperare l’imputato. Ma la Corte d’Appello ha ritenuto che “le esigenze cautelari rappresentate dal pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede non risultano venute meno né significativamente attenuate”. Anzi secondo i giudici “il pur innegabile buon comportamento processuale dell’imputato non consente, allo stato, di ritenere definitivamente e radicalmente recise le possibilità di sfruttare ancora, qualora sottoposto a misura cautelare gradata, la sua rete di rapporti illeciti e la sua comprovata capacità di penetrazione corruttiva all’interno di quei settori della politica locale permeabili a tali proposte”.

A ben vedere secondo gli avvocati Alessandro Diddi e Pier Gerardo Santoro, entrambi difensori del ras delle coop rosse, la motivazione del rigetto “è che Buzzi potrebbe reiterare la corruzione con la nuova classe dirigente. Evidentemente la Corte d’Appello ritiene che la nuova classe politica possa farsi corrompere, essendo la corruzione un tipico reato bilaterale”. Effettivamente, codice alla mano, sono proprio le mazzette il nodo del discorso perché, contrariamente a quanto possa pensare qualcuno, la Cassazione non ha assolto nessuno ma ha fatto decadere un capo d’accusa, ben inteso si tratta del più importante ossia la mafiosità del Mondo di mezzo, per poi confermare tutti gli altri. Tra questi, appunto, c’è proprio la corruzione che è un reato relativamente semplice, almeno secondo l’accusa, da reiterare.

Il Mondo di mezzo, per la Capitale è stato il processo del secolo. Si tratta della maxi inchiesta della Procura di Roma, inizialmente denominata Mafia capitale, in cui si sosteneva l’esistenza di una cupola tutta romana gestita dall’ex Nar Carminati e dal collega Buzzi che, tra minacce, appalti e finanziamenti sospetti, era riuscita a conquistarsi una posizione degna di nota nel panorama criminale della città eterna. Una tesi che, però, ha retto solo parzialmente al giudizio della Cassazione secondo cui, invece, non esisteva alcuna organizzazione di stampo mafioso ma due distinte associazioni semplici, una facente capo al cecato e l’altra al ras delle coop, specializzate in reati corruttivi.