Conto salato se la lite è temeraria. Partito al Senato l’esame del disegno di legge M5S. Chi fa causa per diffamazione e perde pagherà i danni

Il ddl per la riforma della diffamazione a mezzo stampa sembra mettere tutti d’accordo

Ci avevano provato più volte. L’ultima nella passata legislatura. Ma nonostante i reiterati impegni e le promesse di riforma della disciplina che regola le cause per diffamazione a mezzo stampa, i buoni propositi sono finora rimasti sempre tali. Stavolta, però, le cose potrebbero andare diversamente. Perché il disegno di legge dei Cinque Stelle, a prima firma Primo Di Nicola (nella foto), da ieri all’esame della commissione Giustizia del Senato (relatore il grillino Arnaldo Lomuti), sembra mettere tutti d’accordo. Come dimostra, del resto, la prima tornata di audizioni sul provvedimento.

DIAMOCI UN TAGLIO. Dal presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, ai vertici della Federazione nazionale della stampa, con in testa il presidente Giuseppe Giulietti e il segretario generale aggiunto Vittorio Di Trapani; dalla Federazione italiana editori giornali, rappresentata dal direttore generale Fabrizio Carotti, ad Ossigeno per l’informazione, con il presidente-direttore Alberto Spampinato e il segretario generale Peppino Mennella. Tutti concordi nel dare un taglio a quello che assomiglia sempre di più ad uno sport nazionale: l’azione civile risarcitoria contro i giornalisti.

Un andazzo che ha ormai superato il livello di guardia al punto da imporre, si legge nella relazione introduttiva al ddl Di Nicola, un intervento legislativo “al fine di scoraggiare eventuali domande risarcitorie non solo infondate ma anche palesemente esorbitanti, di natura intimidatoria nei confronti del giornalista”. Rispetto ai testi presentati, senza successo, in passato, quello targato Cinque Stelle, composto da un solo articolo, introduce un elemento di novità, fissando “un parametro preciso” al quale il giudice dovrà attenersi per quantificare il risarcimento da lite temeraria.

La norma stabilisce, infatti, qualora risulti “la mala fede o la colpa grave di chi agisce in sede di giudizio civile per risarcimento del danno”, che il giudice, “con la sentenza che rigetta la domanda”, condanni l’attore, oltre che alle spese, “al pagamento a favore del richiedente di una somma, determinata in via equitativa, non inferiore alla metà della somma oggetto della domanda risarcitoria”. In altre parole, se chiedo 100 sostenendo di essere stato diffamato ma il giudice mi dà torto, rischio di dover pagare almeno 50 a chi ho chiamato in causa. “E’ una legge semplice e breve: vogliamo evitare che come in passato si areni in Parlamento a causa dell’appesantimento del contenuto e del dibattito”, spiega Di Nicola. Ricordando che per i Cinque Stelle “la libertà dell’informazione” resta “un pilastro del buon funzionamento della democrazia”.