Da Forza Italia ai meloniani. Ecco dove sono i veri “ribelli”. A destra una marea gli onorevoli in dissenso con i partiti. Ma intanto si accusano i 5S di aver tradito gli elettori

Tu chiamale se vuoi “contraddizioni”. Basta scorrere le tante e tante dichiarazioni di ieri arrivate dal fronte del centrodestra e relative all’espulsione di Gianluigi Paragone dal Movimento cinque stelle, per restare quantomeno allibiti. Il motivo è presto detto: l’accusa più ricorrente lanciata contro i pentastellati è quella di incoerenza. Peccato, però, che quegli stessi partiti – dati alla mano – non possano dar lezioni sul punto. Qualche esempio per capirci.

Maria Stella Gelmini: “Il senatore (Paragone, ndr) paga per la sua coerenza. Il Movimento è ormai una polveriera pronta a esplodere”. Giorgia Meloni: “Il M5S ha preso i voti degli italiani come forza anti sistema in Italia e in Europa, e poi con quei voti si è schierato a difesa del sistema in Italia e in Europa. Normale che chi ha un briciolo di dignità si senta a disagio”. Vittorio Sgarbi: “L’espulsione dai 5 Stelle di Gianluigi Paragone conferma che il dissolvimento dei 5 Stelle, ormai ostaggio del Pd, è sempre più vicino”.

Il concetto è chiaro: Paragone bene ha fatto ad andare via poiché il Movimento si è rivelato incoerente. Peccato, però, che a parlare siano partiti nei cui gruppi parlamentari regna l’incoerenza vista la mole di “voti ribelli” che vengono collezionati. Parliamo, cioè, dei voti in dissenso che vengono espressi dai singoli parlamentari in relazione al proprio gruppo.

IL PARADOSSO. I numeri, in effetti, sono molto chiari. Al Senato, ad esempio, il forzista Antonio Saccone ha votato in dissenso al proprio gruppo ben 680 volte. Ma d’altronde è in buona compagnia, specie in Forza Italia in cui sembra proprio che ognuno vada per la sua strada: Andrea Causin ha votato in dissenso 374 volte, Gaetano Quagliariello 316 volte, Giancarlo Serafini 310 volte. E non va meglio sul fronte meloniano: Gaetano Nastri non è poi così “fratello d’Italia” se si contano i suoi 299 “voti ribelli”. Ma anche Nastri è in buona compagnia se si pensa ai colleghi senatori (e meloniani) Adolfo Urso (213 volte in disaccordo col gruppo parlamentare), Achille Totaro (199) e Alberto Balboni (157). Stupisce, ancora, che anche uno dei leader indiscussi di Fratelli d’Italia come Ignazio La Russa abbia votato in 151 occasioni in disaccordo rispetto il suo gruppo parlamentare.

TUTTI GLI ALTRI. E alla Camera dei Deputati? Esattamente lo stesso identico andazzo. A spiccare in questo caso sono sempre i forzisti: Stefania Prestigiacomo (145 voti ribelli), Enrico Costa (144), Sestino Giacomoni (133). In questa speciale classifica, invece, il primo meloniano è Luca De Carlo: 70 volte in disaccordo col suo gruppo parlamentare. Ma, d’altronde, non stupisce: la stessa Meloni in due occasioni ha votato in maniera contraria allo stesso partito di cui è leader. A questo punto qualcuno potrebbe pensare che tutti gli altri partiti, invece, brillino in quanto a coerenza. Niente affatto. Per dire: alla Camera il leghista Antonino Minardo ha votato 103 volte contro il suo stesso partito.

Stessa antifona a Palazzo Madama dove è il Pd, accanto a Fratelli d’Italia e Forza Italia, a raccogliere parecchi voti in dissenso. Roberto Rampi, per dire, ha votato in disaccordo con i dem in 188 occasioni. E il Movimento? Davvero espelle ogni volta che si esprime un voto contrario al gruppo? Niente affatto. La prova è Matteo Mantero: 85 voti in dissenso rispetto ai soli 14 di Paragone. La verità è un’altra, con buona pace dell’ex giornalista: le strade tra lui e il Movimento si erano belle che divise con la fine del governo gialloverde. Restare più assieme, visti i continui attacchi del senatore, non aveva semplicemente più senso.