Da Veltroni un azzardo letterario. Assassinio (senza suspense) a Villa Borghese. Il thriller tra Fantozzi e Liala dell’ex sindaco di Roma

Comincia pure bene, pittoresco e pimpante, questo presunto “giallo” (il colore della copertina e basta) dell’ex sindaco di Roma Walter Veltroni, Assassinio a Villa Borghese (Marsilio, pagg. 205, euro 14). Ma dire avvincente, sarebbe un miracolo, nemmeno un parolone. Un commissario forse capace, ma molto sfigato, lasciato dalla moglie che si rivela lesbica, deriso dai colleghi per un incidente di percorso avvenuto anni di prima, ha finalmente un avanzamento di carriera nel nuovo distaccamento di Polizia che il sindaco ha deciso di costituire nel cuore architettonico e artistico della Capitale, Villa Borghese appunto, meta di famiglie, anziani, turisti.

A sua disposizione una pattuglia di sette agenti formattati sul genere “chiappa e spada” dei film di Pierino: il grasso, il nano, la gnocca, l’immigrato, il vecchio che nasconde i giornaletti porno, i gemelli infatuati della Bibbia. E qui potremmo dire finisce il libro. Perché il ferale rinvenimento in pieno parco del cadavere di un bambino decapitato e smembrato in pezzi e tronconi è cosa troppo orrorifica per essere sostenuta stilisticamente solo da leziosità fantozziane, da un sentimentalismo della peggior Liala che ricompone tutto nel lieto fine, dalla retorica descrittiva di luoghi e personaggi storici chiamati in ballo che sembrano scaricati da Wikipedia, dai continui alquanto stucchevoli rimandi a referenti calcistici (e cinematografici) che sono evidentemente il pane professionale del fu vicepremier.

Il commissario Buonvino è la fotocopia sbiadita e ridicola di una fotocopia mangiata dalla fotocopiatrice di un vero hard boiled alla Rocco Schiavone per intenderci, tutto è diluito da un battutismo post-renziano, da un rosa-perla da parete del tinello che di noir o di rosso-sangue ha solo taluni accanimenti molto stereotipati e irrelati col contesto. Di suspense manco a parlarne: l’unghia incarnita del lettore gli darebbe un maggiore senso di attesa; molti protagonisti restano non tratteggiati se non nelle loro funzioni istituzionali, di sfumature psicologiche, labirinti mentali e soggettive del potenziale serial killer manco a parlarne, per la scena del sesso in ascensore tra Buonvino e la sua Lavinia i turbamenti di una ricamatrice dell’800 sarebbero più scandalosi.

E la soluzione? Senza spoilerare, in parte prevedibile, ma scarrucolata come l’intero impianto del libro. Un libro frettoloso, azzardato, supponente e brandizzato dal nome dello scrittore che è già di per sé garanzia di sicure vendite. Un’operazione un po’ offensiva per il fruitore minimamente acculturato di mistery e delitti da svelare. Agatha Christie, Simenon, Dickson Carr pasteggiano felici fra gli spettri: dal Colosseo nessun attacco al loro primato.