Dal Tesoro un miliardo l’anno per le pensioni dei postini

di Maurizio Grosso

Uno squilibrio previdenziale, come minimo, che ormai costa allo Stato un miliardo di euro l’anno. A tanto ammonta il trasferimento che ogni 365 giorni il ministero dell’economia, oggi guidato da Fabrizio Saccomanni, è costretto a perfezionare a favore del trattamento di quiescenza del personale di Poste. L’assegno, che per la precisione negli ultimi esercizi ha toccato i 990 milioni l’anno, viene girato all’Inps, mentre prima era dirottato sull’Ipost (ente previdenziale delle Poste poi confluito nella struttura presieduta da Antonio Mastrapasqua). Insomma, si tratta di un bel buco previdenziale preso in carico dallo Stato e coperto con versamenti che vanno avanti da quando Poste è stata trasformata in spa. Il problema, quindi, risale a un’epoca precedente all’ascesa di Massimo Sarmi al vertice del colosso pubblico. Ma allo stesso tempo fa riflettere sull’opportunità dell’operazione che dovrebbe portare Poste nel capitale dell’Alitalia. Senza contare che uno schema di questo tipo si presta a più di qualche perplessità circa la tenuta finanziaria di un sistema che vede il Tesoro mettere le mani al portafoglio per estrarne una cifra che ormai viaggia verso il miliardo di euro l’anno.

I numeri
Il dato certo è che nei meandri del mastodontico bilancio pubblico italiano ogni anno è previsto uno stanziamento “per il trattamento di quiescenza del personale dipendente delle Poste italiane”. Fino al 2010 questo assegno annuale veniva girato all’Ipost, ovvero l’istituto di previdenza per i lavoratori del colosso di Stato. Dal 2010 al 2012, tanto per fornire qualche cifra, il trasferimento in questione è stato di 990 milioni l’anno, la stessa cifra che è stata messa in cantiere per il 2013. Una cifra stabile, come si vede, che sembrerebbe slegata dalla normale fluttuazione della spesa previdenziale. Al punto da assumere quasi i connotati di un trasferimento forfettario (negli anni precedenti, per esempio, si era attestato sugli 810 milioni di euro). Ma fino a che punto può reggere, soprattutto se si considera che negli ultimi 6 anni con questo sistema lo Stato ha ripianato ben 5,5 miliardi di euro di buco previdenziale delle Poste italiane?

Lo storico
Anche, perché, a quanto pare, il sistema in questione va avanti almeno dal 1997, da quando in pratica le Poste sono state trasformate in spa. Negli anni precedenti al 2010 i trasferimenti dello Stato vedevano come beneficiario lo stesso Ipost. Successivamente questo è stato inglobato nell’Inps, l’istituto guidato da Mastrapasqua, che quindi ne ha ereditato i rapporti e anche i trasferimenti statali. In assenza dei quali, va da sé, il sistema sarebbe letteralmente esploso. Anche perché dagli attuali bilanci Inps si apprende che nel 2013 l’ex Ipost porta in dote la bellezza di 143.726 pensioni, in crescita del 2% rispetto all’anno precedente e con un esborso complessivo di 2 miliardi e 546 milioni di euro. Ma questo non può non far sorgere i dubbi e i rischi connessi a trasferimenti statali che ogni anno valgono la bellezza di 1 miliardo di euro.
Un andazzo che, c’è da giurarci, è noto al ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni. Per carità, il problema affonda le radici in periodi in cui né Sarmi né Saccomanni occupavano i ruoli attuali. Ma la situazione rischia di degenerare.