De Bortoli, l’alfiere dei poteri forti. Il direttore del Corriere gioca duro: fa un appello ai moderati con l’unico scopo di scavare la fossa a Berlusconi e salvare Letta

di Ferruccio de Bortoli dal Corriere della Sera

La scelta irresponsabile di Berlusconi e dei suoi fedelissimi, compiuta in spregio persino alle regole di un partito personale, ha il sapore amaro dei gesti inconsulti e disperati. Non serve a nulla. Non modifica di un palmo il destino giudiziario del Cavaliere, ma spinge un Paese in ostaggio sull’orlo di un nuovo baratro. Arcore si è trasformata nel Ridotto della Valtellina del berlusconismo. La spallata al governo Letta contraddice tutte le mosse apprezzate dell’ex premier all’inizio della legislatura: la rielezione di Napolitano, la nascita delle cosiddette larghe intese. E procura un danno incalcolabile soprattutto al proprio elettorato di riferimento formato da famiglie e imprese. Tutto ciò che è stato fatto dal governo, sostenuto anche dal Pdl, poco o tanto che sia – dagli incentivi all’occupazione giovanile al pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione – finisce nel cestino del risentimento.

L’aumento dell’Iva senza il precipitare della crisi, sarebbe stato probabilmente scongiurato, fermo restando il fatto che tutti, esponenti del Pdl compresi, lo davano per inevitabile, pur nella rimodulazione delle aliquote, nel 2014. L’argomento, agitato ieri anche dal Cavaliere, di una reazione d’impulso all’eccesso di tassazione, è strumentale e privo di senso. Il gettito del rincaro dell’Iva era già compreso nei saldi di bilancio. Monti lo decise sostituendo la vecchia clausola di salvaguardia dell’esecutivo Berlusconi che tagliava linearmente le agevolazioni fiscali. Il precedente aumento dell’Iva (dal 20 al 21%), va ricordato, è del settembre 2011. E premier era ancora il Cavaliere. Tra i tanti difetti del governo Letta, c’è anche una certa propensione a sostituire un’imposta con un’accisa, o l’Imu con la service tax , nel consenso anche di coloro che oggi agitano la bandiera anti-tasse ma appaiono refrattari a veri tagli di spesa.

I costi del pronunciamiento di Arcore, nel caso la situazione precipitasse e si andasse a nuove elezioni, sono presto fatti. I modesti segnali di ripresa svaniscono, i grandi investitori internazionali diffidano ancora di più di un Paese che non capiscono (come dare loro torto!), e nel quale non rischiano i loro soldi. Il costo del debito è destinato a salire. La seconda rata dell’Imu si paga, niente rimborsi alle imprese. La riduzione del cuneo fiscale ritorna nel cassetto delle buone intenzioni. Le imprese continuano a morire, e molte altre non riescono a sfruttare la brezza della ripresa a vantaggio dei loro concorrenti di Paesi più stabili e seri. Difficile rifinanziare la cassa integrazione in deroga. I posti di lavoro continuano a diminuire.

La legge di Stabilità, con il rischio sullo sfondo di un imbarazzante esercizio provvisorio, viene scritta su dettatura di Bruxelles. I benefici di un’uscita nel maggio scorso da una procedura di deficit eccessivo, scompaiono. Il governo che vincerà le prossime elezioni – magari ancora con la vergogna di una legge come il Porcellum che la Corte costituzionale si appresta a dichiarare illegittima – sarà probabilmente costretto a firmare una resa incondizionata alla troika formata da Unione Europea, Banca centrale e Fondo monetario. Con ulteriore cessione di sovranità: commissariati. E un esito certo: più tasse.
Nel secondo semestre del 2014 non si sa in quali condizioni potremmo assumere la presidenza dell’Unione europea. Immaginate che, in uno scenario di questo tipo, famiglie e imprese starebbero meglio di prima? No, decisamente no. E qui sta tutta la follia della crisi, il portato autolesionista, anche nei confronti del proprio elettorato, della scelta populista e avventurista di Berlusconi, alla quale si aggiunge una malcelata voglia di andare alle urne, non senza minore irresponsabilità, di larghi strati del Pd.

Che cosa potrà accadere ora? Molto dipenderà dai sommovimenti che si avvertono nel partito di Berlusconi. I ministri Quagliariello, Lorenzin e Lupi, dimissionari, hanno espresso i loro distinguo. Anche Alfano si oppone alla deriva estremista del partito. Non basta. Le paure sono tante (l’incubo del destino di Fini); i ricatti e le minacce pratiche quotidiane. Ma se esiste un’area moderata, che ha a cuore famiglie e imprese, ispirata ai valori liberali del Partito popolare europeo, il momento di agire è questo. Se non ora quando? Le probabilità che il governo Letta possa proseguire, magari con un programma limitato e una prospettiva elettorale più ravvicinata, evitando il fallimento del Paese e il collasso delle sue istituzioni, dipendono dalle scelte dei moderati che non vogliono confondersi in quella che Quagliariello ha ieri definito la «Lotta continua» della destra.

Il futuro di un grande movimento popolare e la rappresentanza di una vasta area moderata, soprattutto nella prospettiva in cui, questioni giudiziarie a parte, la parabola di Berlusconi abbia un termine, non saranno certamente assicurati dai commensali di Arcore. E un partito che si chiama Forza Italia non può trascinare il Paese nel vicolo cieco degli incubi giudiziari di un leader che non vuole accettare di vivere in uno stato di diritto.