L'Editoriale

Autostrade e la beffa agli italiani

Il Gruppo che ha incassato miliardi grazie a una concessione pubblica delle autostrade ancora oggi inspiegabilmente vantaggiosa fa causa allo Stato perché la pacchia è finita. Un epilogo inevitabile, perché la vecchia politica non gli ha consegnato soltanto le chiavi di un patrimonio che appartiene a noi tutti, ma ha permesso di blindare legalmente il contratto. Così l’esito dello scontro finale tra Atlantia, la holding controllata dai Benetton, e il Governo è del tutto imprevedibile, e per i cittadini c’è il rischio di trovarsi dopo il danno pure la beffa.

La storia di partenza è nota. Dopo il crollo del ponte Morandi di Genova l’Esecutivo e in particolar modo i 5 Stelle dissero basta alla svendita della nostra rete viaria, sulla quale Autostrade per l’Italia porta a casa enormi utili mentre all’Erario restano briciole. Nel mirino c’era quella che appare una palese violazione contrattuale, e cioè la carenza delle manutenzioni. La risposta fu prima prepotente, minacciando cause e preventivando un risarcimento di oltre 20 miliardi, poi diventò mercantile, come si usava nella Prima Repubblica, quando in qualche modo ci si metteva tutti d’accordo e a pagare il conto restava lo Stato. Perciò si è preso per il naso l’intero Paese facendo finta di voler partecipare al salvataggio dell’Alitalia.

Uno scambio che i 5S nei ministeri competenti non hanno preso in considerazione, costringendo il concessionario a cambiare nuovamente strategia, creando l’incidente con cui tornare alle vie legali. Un’occasione arrivata con il Covid. Esattamente come la Fiat e decine di altri colossi industriali, anche rifugiati all’estero, Autostrade ha chiesto allo Stato di garantirle enormi prestiti bancari. Un’assurdità visto che questi soldi servono a migliaia di piccole imprese, al turismo, alla rete dei commercianti che non ha mai drenato miliardi pubblici e ora rischia di non risollevarsi dopo la pandemia.

Il logico rifiuto del Governo era però il pretesto che mancava, e adesso Atlantia minaccia di annullare gli investimenti previsti e di far causa per essere stata discriminata. Una mossa che spiega perché i 5S ci hanno dovuto mettere tanto per revocare la concessione e perché quest’ultimo epilogo resta tutt’altro che scontato.