L'Editoriale

Tassi fermi. La nuova Europa parte male

Dialogare con l’Unione europea “perché senza di questa non c’è futuro”. Facile a dirsi per il Presidente Sergio Mattarella, che ieri si è espresso così alla tradizionale cerimonia del ventaglio, ma se non era per la trattativa del premier Giuseppe Conte e il voto “sulla fiducia” dato dai Cinque Stelle alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, oggi con l’Europa avremmo il rapporto più difficile di sempre. Questo non vuol dire che Bruxelles non debba profondamente riformare quelle politiche del rigore che ci hanno messo in ginocchio, ma di queste trasformazioni senza un confronto non ci sarebbe neppure la speranza.

Riallacciare il filo tra le istituzioni di una grande comunità transnazionale e i cittadini è però un obiettivo tutt’altro che semplice. Le tradizionali famiglie europee – popolari, socialisti e liberali – uscite vincitrici dalle ultime elezioni, seppure col fiato sul collo delle forze populiste e sovraniste, hanno dovuto promettere cambiamenti radicali e adesso sono attese al varco. La Gran Bretagna, con l’insediamento di Boris Johnson, è destinata a tornare interamente sotto l’ombrello dell’amico Trump, e un equilibrio perennemente conflittuale non aiuterà l’Ue a risolvere i suoi problemi, a meno di nuove tentazioni da parte di Germania e Francia di mollare al loro destino i Paesi mediterranei.

Accantonato per il momento questo scenario, con la conseguente suggestione dell’euro pesante che si porta dietro, ogni segnale in arrivo dall’Ue è determinante per capire se siamo davanti a una svolta vera, o ci aspettano i soliti piatti indigesti a base di austerity, spread e bacchettate sui conti pubblici. La decisione presa ieri dalla Banca centrale europea è perciò un segno tutt’altro che incoraggiante. Era atteso un taglio dei tassi e parole nette su una nuova iniezione di liquidità monetaria a favore di famiglie e imprese. Il presidente Mario Draghi ha invece detto per la milionesima volta che queste condizioni si potranno avverare, ma non adesso. A pochi mesi dall’insediamento di Christine Lagarde all’Eurotower, un falco della Troika che ha spezzato le reni – quella sì – alla Grecia, non proprio il segno di quel cambiamento che aspettiamo.