L’epidemia ci ha cambiato la vita. E anche lavorare sarà diverso. Uccideremo il Coronavirus, ma non lo smart working. Tranne nel settore alimentare che diventerà centrale

Lo tsunami Coronavirus si è abbattuto improvvisamente sul mondo proiettandoci in scenari apocalittici da film catastrofista americano. Ma purtroppo, questa volta, non è un film. Quello che sta accadendo è molto simile ad una guerra termonucleare e alla fine il modello sociale, l’organizzazione delle città, il modello produttivo risulteranno completamente stravolti, almeno nel breve-medio periodo. Intanto la Rete, il web, le comunicazioni stanno diventando sempre più strategiche.

BENI ESSENZIALI. Tutto quello che è possibile trasferire on line si sposterà. Lo smart working, il lavoro agile, sarà la forma predominante. Sarà un lavoro delocalizzato. E poi la Rete, le comunicazioni, saranno il mezzo con cui la popolazione richiederà i servizi: cibo, energia, beni essenziali. Tuttavia la produzione materiale non potrà essere completamente dematerializzata. Occorrerà che qualcuno trasformi le fonti di energia in prodotti energetici come l’energia elettrica, il riscaldamento e per fare questo qualcuno dovrà lavorare alla vecchia maniera, ma sarà una componente minoritaria. Prendiamo, ad esempio, il caso degli alimenti. Esso deve essere prodotto principalmente in campagna che diverrà veramente la base produttiva di questo nuovo eone.

Come nel periodo di guerra, i contadini saranno quelli che se la passano meglio producendo i generi alimentari. Ed allora proviamo a immaginare una situazione concreta, quella di Roma, che è il primo comune agricolo europeo. Roma è una città che si presta bene ad una ipotesi riorganizzativa di questo tipo avendo un centro storico, una “città intermedia” e una vasta periferia circondata e servita da un lungo anello, il raccordo anulare, che ha uscite e entrate nelle strade consolari che la connettono al resto del Paese. Quindi i generi alimentari verranno sempre più prodotti all’esterno della cinta del raccordo dalle tante fattorie che poi potranno far circolare le derrate sul raccordo e poi distribuirle capillarmente tramite le consolari in entrata, fino al centro.

Questo modello autoctono riprodurrà quindi una organizzazione già esistente agli inizi del ventesimo secolo, con i produttori, ad esempio dei Castelli romani, che scendevano verso l’Urbe con carri trainati da cavalli portando il vino e altri prodotti fino al centro. Chiaramente ora si utilizzeranno altri mezzi di locomozione, ma il concetto non cambia. Alimenti di prossimità, prodotti a pochi chilometri. È la fine dell’economia globalizzata. Dunque occorrerà ripensare l’intero modello di approvvigionamento urbano sfruttando, per ogni città, le particolarità urbanistiche e massimizzandone i punti di forza.

SERVIZI STRATEGICI. Poiché l’Italia è ancora una nazione ad alta presenza di campagne coltivate e di animali il discorso di Roma si può riproporre per altre grandi città tenendo conto ovviamente delle differenze. In questo modo si potrà integrare la tecnologia di Rete con la produzione delle campagne garantendo il buon funzionamento del sistema. E tanto per far capire che questo non è solo un bel discorso teorico faccio notare come già ora i piccoli produttori di beni alimentari siano presi d’assalto da chi non è riuscito a fare la spesa on-line sulla grande distribuzione.

Le cooperative agricole stanno facendo affari d’oro e non sanno più come gestire le tante richieste. In tutto questo lo Stato dovrà avere un ruolo di stimolo e supporto fondamentale: aiutando economicamente chi produce cibo localmente che diverrà una attività strategica. Particolare attenzione va poi fatta nel settore delle telecomunicazioni che devono essere garantite ad ogni costo anche da investimenti pubblici. Sarà un ritorno alle origini che magari potrebbe avere aspetti gradevoli.