I venti padroni del debito pubblico

di Stefano Sansonetti

Determinano il destino del nostro debito pubblico. Un fardello da circa 2 mila miliardi di euro la cui evoluzione dipende in buona parte dalle loro mosse. Un potere enorme, in altri termini, che all’interno dello stato italiano viene esercitato da 20 banche. Attenzione, però, perché di queste ben 17 sono straniere. Tecnicamente si chiamano “specialisti in titoli di stato”. In pratica si tratta di quegli istituti di credito che per il Belpaese non soltanto provvedono alla parte organizzativa delle aste, collocando i nostri titoli di stato. Ma in una certa misura ne “modellano” il risultato, visto che sono tenuti anche a garantirne una percentuale di acquisto. Ma chi rientra nel gruppone delle 20 banche? Sulla base di un documento firmato il 23 gennaio scorso da Maria Cannata, responsabile della direzione debito pubblico del Dipartimento del Tesoro, si tratta innanzitutto delle banche americane Merrill Lynch, Morgan Stanley, Citigroup, Jp Morgan e Goldman Sachs. A queste si aggiungono le inglesi Barclays, Hsbc, Royal Bank of Scotland e le francesi Bnp Paribas, Crédit Agricole, Société Générale. La componente tedesca è rappresentata da Deutsche Bank e Commerzbank, mentre quella svizzera da Ubs e Credit Suisse. A chiudere ci sono la giapponese Nomura, l’olandese Ing Bank e le italiane Banca Imi (del gruppo Intesa Sanpaolo), Unicredit ed Mps, l’istituto sense trovolto dalle ultime inchieste giudiziarie. Ma il dato “curioso”, che come minimo fa pensare, è rappresentato dal fatto che nel documento il Dipartimento del Tesoro stila anche una classifica degli specialisti dei titoli di stato per il 2012. In pratica un modo per riconoscere la bontà dell’attività svolta dai vari istituti di crediti l’anno precedente. E chi ha vinto? Barclays, la banca inglese che spicca tra le più coinvolte nello scandalo Libor.

Gli inglesi al top. Si tratta di uno degli scandali finanziari più gravi scoppiati negli ultimi anni: una nutrita pattuglia di banche accusate di aver manipolato i tassi Libor ed Euribor, ovvero gli indici di riferimento dei mercati interbancari sulla base dei quali si calcolano gli interessi sui mutui erogati alle imprese e ai cittadini comuni mortali. Operazioni, va da sé, di gravità inaudita, visto che attraverso di esse gli istituti di credito hanno potuto lucrare proprio sugli interessi praticati ai clienti. E qui entra i gioco Barlcays, perché con Ubs e Royal Bank of Scotland è già stata pesantemente multata dalle autorità finanziarie dei principali paesi proprio per aver manipolato i tassi. La medesima Barclays, in particolare, è stata costretta a pagare l’equivalente di 440 milioni di dollari per uscire fuori dal ginepraio dove si era infilata. Ma non è finita qui, perché sulle stesse banche, per inciso tutte inserite nella lista dei nostri “specialisti” del debito, pende il rischio di circa 30 cause intentate da mutuatari in California e nello stato di New York. Insomma, il Tesoro italiano ha consegnato la medaglia d’oro per la gestione del nostro debito a una banca che negli anni scorsi si è divertita a manipolare i tassi interbancari.

Tanti istituti, tante magagne. Prendiamo il caso dei giapponesi di Nomura. Su di loro, tanto per dirne una, pende il sospetto di aver ristrutturato con Monte dei Paschi il derivato “Alexandria” che avrebbe permesso alla banca senese di occultare perdite per circa 220 milioni di euro. Stesso sospetto su Deutsche Bank, che attraverso l’operazione “Santorini” avrebbe aiutato Mps a mitigare una perdita di 367 milioni di euro. Senza contare il fatto che la stessa Deutsche Bank è entrata nel mirino della Bafin, l’autorità tedesca di vigilanza finanziaria, per una questione legata alla manipolazione dell’Euribor. In sostanza la stessa pratica di cui si è resa protagonista Barclays sul versante del Libor. Ebbene, sia Nomura che Deutsche Bank sono inserite nella lista degli specialisti del Tesoro. Per carità, anche in altri paesi funziona così. Certo non si può fare a meno di constatare come lo stato italiano, oppresso da un enorme debito pubblico, finisca di fatto con l’essere “ostaggio” di tutti i maggiori centri del potere finanziario mondiale. Quegli stessi centri che, per un motivo o per l’altro, sono coinvolti in situazioni che certo non hanno portato giovamento al sistema Italia.

L’irresistibile tentazione della banca d’affari estera. Inutile nascondersi dietro a un dito: ci sono passati praticamente tutti. Alcuni, addirittura, sono ancora pienamente in carica. Si pensi a Domenico Siniscalco, ex direttore generale del Tesoro, ex ministro dell’economia, ma soprattutto capo in Italia della banca americana Morgan Stanley. O si prenda il caso di Giuliano Amato, già presidente del consiglio e più volte ministro della repubblica, oggi senior advisor dei tedeschi di Deutsche Bank. Non c’è che dire, intorno al mondo delle banche d’affari ruota un nutrito drappello di “italiani” che hanno avuto, o continuano ad avere, fitti rapporti con il potere nostrano. Inevitabile, per certi aspetti, visto che qualsiasi multinazionale cercherebbe un “aggancio” forte per sviluppare i suoi affari all’interno di un dato paese. Di sicuro, però, in Italia il fenomeno è andato assumendo dimensioni notevoli. Un’estensione che fa come minimo pensare, soprattutto se messa in relazione al fatto che il Tesoro italiano si affida a una lista di 20 banche, quasi tutte internazionali, per lo strategico e delicatissimo compito di collocare sul mercato i nostri titoli di debito (vedi l’articolo a fianco).
Un altro ex ministro che fa parte della categoria è Augusto Fantozzi, un tempo titolare del dicastero delle Finanze e fino a pochissimo tempo fa advisor della banca francese Lazard. Carica, quest’ultima, che Fantozzi mantenne anche quando si trovò a ricoprire il ruolo di commissario straordinario di Alitalia. E’ appena il caso di ricordare, a tal proposito, che Lazard è lo storico consulente di Air France, la compagnia aerea transalpina che quattro anni fa è stata sul punto di rilevare Alitalia e che oggi ne è comunque il maggior singolo azionista (probabilmente in attesa di lanciare tra qualche tempo l’attacco definitivo al vettore italiano).
Nella storia dei rapporti con le banche d’affari estere, poi, un caso a parte merita Goldman Sachs. All’interno dell’istituto americano ha avuto in passato un ruolo di massimo livello Mario Draghi, che nel suo percorso è stato anche direttore generale del Tesoro (in quella veste uno degli artefici della grande stagione delle privatizzazioni di stato), governatore della Banca d’Italia (chiamato a mettere ordine a palazzo Koch dopo l’estate 2005 contraddistinta dall’affaire Antonio Fazio-furbetti del quartierino), fino ad arrivare oggi a ricoprire il ruolo di presidente della Banca centrale europea.
Tra i “goldmaniani” di spicco, inoltre, c’è anche Romano Prodi, l’ex presidente del consiglio che nel frattempo è diventato consulente dell’agenzia cinese di rating Dagong e sembrerebbe ambire in futuro alla poltrona di presidente della repubblica (Amato, D’Alema o altri permettendo). Accanto a Prodi non si può fare a meno di citare il presidente del consiglio uscente, Mario Monti, che nel suo lungo percorso internazionale ha avuto modo di intrecciare il suo lavoro con quello proprio di Goldman Sachs. Per non parlare di come in passato la stessa banca Usa non si sia lasciata sfuggire l’opportunità di reclutare Gianni Letta, ex sottosegretario alla presidenza del consiglio e autentico plienipotenziario di Silvio Berlusconi durante tutti gli anni di governo del centro-destra.
Ancora, un’esperienza presso banche estere ha contraddistinto anche la parabola del ministro uscente dell’economia, Vittorio Grilli, che prima di approdare al ministero di via XX Settembre (dove prima di diventare ministro è stato Ragioniere generale dello stato e Direttore generale del Tesoro) ha avuto un ruolo di spicco all’interno dell’istituo elvetico Credit Suisse.

Alla Cassa depositi comandano uomini ex Jp Morgan. Una banca d’affari per la quale sono transitati in tanti. Manager e banchieri che, in un modo o nell’altro, adesso ritroviamo in posti di rilievo anche nel settore pubblico. Questa è la semina di Jp Morgan in Italia. Sulla banca americana si sono accesi i riflettori nell’ambito dell’affaire Mps. Tutto ruota intorno al bond fresh, ovvero quell’emissione obbligazionaria curata dall’istituto Usa che, secondo le ipotesi investigative, avrebbe portato Mps a presentare quello che era un prestito come un aumento di capitale. E avrebbe consentito alla banca statunitense di lucrare circa 82 milioni di euro. Ora, la tradizione di Jp Morgan in Italia è secolare. Lo stesso fondatore della banca d’affari Usa, John Pierpont Morgan, venne a morire sulla penisola nel 1913, dove aveva raggiunto una sua fidanzata. L’aneddoto è stato raccontato qualche giorno fa da Jamie Dimon, il numero uno mondiale di Jp Morgan, in occasione di un incontro a Francoforte in cui ha confermato l’intenzione della banca Usa di continuare a scommettere sul Belpaese. Nel corso del tempo il ruolo giocato in Italia da Jp Morgan si è fatto sempre più rilevante. Al punto che oggi l’istituto è inserito nella lista dei 20 “specialisti” di titoli di stato, ovvero l’elenco del Tesoro in cui sono riunite le banche che collocano sul mercato i titoli dello stato italiano, garantendone allo stesso tempo l’acquisto di corposi pacchetti. Sta di fatto che molti uomini provenienti dalla banca Usa sono oggi protagonisti dell’economia italiana. Tra questi spiccano i vertici della Cassa depositi e prestiti. Giovanni Gorno Tempini, ad della holding controllata dal Tesoro e partecipata dalle fondazioni bancarie, “ha iniziato la sua carriera in Jp Morgan nel 1987 nel settore del trading fixed income”. Il passaggio è preso direttamente dal suo curriculum riportato nel sito della Cdp. Dopodiché, vi si legge, “dal 1992 al 2001 ha operato con diversi incarichi direttivi presso Jp Morgan a Milano e a Londra”, con responsabilità in aree come “mercato italiano” e “government bond europei”. Stessa estrazione anche per l’attuale dg della Cassa, ossia Matteo Del Fante. Anche qui, avvalendosi del curriculum on line, si scopre che “nel 1991 è stato assunto da Jp Morgan”, mentre “nel 1999, dopo avere ricoperto varie posizioni, ha assunto la carica di managing director a Londra, occupandosi fino al 2003 di operazioni finanziarie e strategiche per i maggiori clienti europei della banca”. Altro pezzo grosso passato per l’istituto americano è Marco Morelli, oggi country executive per l’Italia di Merrill Lynch. Da una vecchia scheda ancora presente sul sito di Intesa Sanpaolo, di cui è stato direttore generale dal 2010 al 2012, viene fuori che Morelli fino al 2006 ha militato in Jp Morgan Italia come direttore generale e Ceo, posizionandosi anche all’interno del comitato esecutivo di Jp Morgan Europe. Alla fine dell’esperienza nella banca americana, Morelli si è trasferito proprio al Monte dei Paschi di Siena, dove dal giugno del 2006 ha ricoperto il ruolo di vicedirettore generale “con la responsabilità della direzione corporate banking capital market fino a giugno del 2008”, quando ha assunto “l’incarico di Cfo del gruppo Montepaschi”. Per inciso Morelli è indagato dalla procura di Siena che sta valutando proprio la sua posizione dell’epoca.
Ma in Cassa depositi e prestiti, secondo quanto risulta a lanotigiornale.it, sarebbe in procinto di entrare un altro banker proveniente da un istituto estero. Si tratta di Leone Pattofatto, managing director di Credit Suisse, con un passato in Morgan Stanley. A quanto pare Pattofatto dovrebbe diventare responsabile dello strategico settore partecipazioni di Cdp (Eni, Terna Snam)