L’indecisione inglese sulla Brexit costa. E anche l’Italia ne paga il conto. Rischi maggiori per difesa e agroalimentare. L’ex ministro degli Esteri, Terzi: “Scambi in pericolo”

Intervista all'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata

Per proporre un nuovo referendum sulla Brexit, “evidentemente Jeremy Corbyn ha difficoltà fortissime nel tenere uniti i suoi, ma questo rende tutta la faccenda più complessa, e presenta il conto anche qui in Italia”. Mentre i riflettori sono ancora accesi sulla protesta dei produttori di latte sardi, l’ambasciatore e nostro ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, pensa alla bilancia commerciale tra Italia e Inghilterra, e alle conseguenze pesantissime su molti settori economici in caso di no-deal (nessun accordo), compreso tutto il Made in Italy agroalimentare. “A questo punto è necessario insistere perché Londra dica chiaramente cosa vuol fare, perché per quanto ci riguarda ne va del destino di qualcosa come ottocentomila italiani che vivono nel Regno Unito”.

La premier Theresa May apre al rinvio di una uscita dall’Unione europea. Si riparte da zero?
“Lo scenario politico interno è cambiato. I laburisti all’opposizione avevano escluso la possibilità di far tornare gli inglesi al voto. Adesso però ci hanno ripensato, e il motivo non è affatto rassicurante”.

Che sta succedendo?
“Persino nella cerchia più vicina aI leader laburista cresce il malcontento, che ha già portato un gruppo di ribelli a esporsi pubblicamente contro Corbyn. Ma sotto la cenere cova altro, se solo pensiamo alla difficoltà che può avere una forza di Sinistra nel tenere insieme valori confliggenti, come i rapporti con Stati Uniti e Israele da una parte e dall’altra l’antisemitismo delle popolose comunità islamiche ormai radicate nelle grandi città, da Liverpool a Londra. Un problema già evidente ai tempi di Tony Blair, quando nei laburisti non era raro vedere ostentati i simboli di Hamas. Questo è solo un esempio, ma la Brexit ha tirato fuori tutte le contraddizioni di un’area politica ora in difficoltà”.

Dopo questo dietrofront la May ha offerto al Parlamento la scelta di rinviare per un breve periodo la Brexit.
“Se l’opposizione è in difficoltà, il governo non è da meno e l’idea del rinvio apre altre incognite, a partire dalla risposta di Bruxelles, anche se negli ultimi giorni c’è stato qualche segno di apertura da Juncker. Per non parlare della difficoltà di far passare da un punto di vista legale un nuovo referendum”.

Il quadro dunque è complicatissimo. Noi italiani possiamo restare alla finestra?
“Contatti bilaterali ci sono già stati, perché un no-deal avrebbe effetti imprevedibili e di sicuro molto costosi per gli inglesi, ma anche per i partner commerciali come l’Italia. E non è finita qui. La Gran Bretagna è il più importante scudo militare europeo, con competenze senza uguali nella cyber difesa, che oggi sappiamo quanto è rilevante persino per la tenuta dei sistemi democratici. Dire addio a Londra ha aspetti delicatissimi di cui si parla poco”.

E le ricadute economiche?
“Qui l’Italia ha non poco da perdere. Non solo per i tanti connazionali, in gran parte giovani, che vivono e sono inseriti stabilmente in Inghilterra, ma anche per gli scambi tra i due Paesi, con una bilancia commerciale oggi favorevole all’Italia per oltre 15 miliardi l’anno. Scambi che senza un accordo con l’Europa o intese bilaterali rischiamo di non vedere più. Per non parlare dell’impennata nella catena internazionale del valore, cioè l’aumento di costo dei componenti di macchinari hi-tech o comunque complessi. La Brexit perciò è un grave e confuso problema per gli inglesi, ma non è uno scherzo neppure per l’Europa e in parte rilevante anche per l’Italia”.