La Corte dei conti indaga il Cnel

di Valeria Di Corrado

Le spese pazze del Cnel sono arrivate persino sul tavolo della Corte dei Conti. Un organo dello Stato che indaga su un altro organo di rilievo costituzionale per un botto di presunti sprechi, contratti di ricerca conferiti illegittimamente e oneri di missione liquidati irregolarmente. “Sembra ci siano state anomalie e disfunzioni interne che potrebbero aver causato un danno pubblico”, spiega a La Notizia giornale.it il procuratore regionale della Corte dei Conti del Lazio, Angelo Raffaele De Dominicis. A denunciare la cattiva gestione dell’Ente è stato lo stesso segretario generale del Cnel, Franco Massi. La magistratura contabile ha così affidato l’incarico di indagare al Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma. E tra breve sarà nominato il pubblico ministero che si occuperà del caso. Si tratterebbe di errori compiuti da funzionari amministrativi, in una gestione non “illibata” dell’Ente.

L’inutilità del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro è scolpita a chiare lettere anche sui manuali di diritto costituzionale. Istituito nel 1957 con lo scopo di creare un raccordo tra le forze economico-sociali del Paese e le istituzioni politiche, sin dai primi anni del suo funzionamento “non ha dato buona prova di sé” (Martines, Diritto costituzionale), perché vi è stata sempre la tendenza a saltare la sua mediazione. Ciò spiega “lo scarso successo che ha avuto il Cnel e la sua scarsissima influenza nel processo decisionale politico” (Bin-Pitruzzella, Diritto Costituzionale). Per renderlo più incisivo fu realizzata nel 1986 una prima riforma dell’Ente, che ampliò le sue competenze nell’attività consultiva e di iniziativa legislativa (fino a quel momento, cioè in 30 anni, erano stati partoriti soltanto cinque disegni di legge, tra cui il riordinamento del credito agrario e della pesca). Ma nemmeno questa riforma è servita a farlo diventare utile. Dall’‘86 ad oggi il Cnel ha elaborato solo altre 12 proposte di legge, molte delle quali “fotocopia”: come le “Disposizioni in materia di statistiche di genere”, approvata nel 2004, riproposta nel 2006 e poi ancora nel 2008. Finora nessuno di questi ddl ha visto l’approvazione in Parlamento. Tranne l’autoriforma del Cnel, un regolamento interno elaborato il 19 novembre 2011 e trasformato in legge lo scorso 11 giugno. Il tutto per annacquare il taglio ai consiglieri e i risparmi alle consulenze imposti dal governo Monti con il decreto legge 138/2011, dopo la richiesta di intervento avanzata da Franco Massi, lo stesso segretario generale che ha chiesto l’intervento della Corte dei Conti.

Allo Stato il baraccone del Cnel costa quasi 20 milioni di euro. Tre milioni e mezzo servono per pagare il personale amministrativo (a fronte di un assenteismo che nel mese di dicembre 2012 ha toccato quota 22%). Due milioni vanno in fumo solo per le indennità del presidente, dei due vicepresidenti e dei 64 consiglieri. Antonio Marzano, in carica come presidente fino al 27 luglio 2015, ogni mese vede accreditarsi sul conto 17.850 euro, i suoi vice 3,5 mila euro, ciascun consigliere 2.168 euro. Oltre alle indennità i fortunati membri del Cnel percepiscono un rimborso spese (1,3 milioni di euro, nel 2011) per partecipare ai lavori del Consiglio, cioè per fare il lavoro per il quale vengono già abbondantemente pagati. A questa somma si aggiungono 270 mila euro destinati ai viaggi in Italia e all’estero. Costano poi altri 323 mila euro l’anno tutti gli uomini del Presidente, tra segreterie, direttore della segreteria e collaboratori vari. Il compenso più alto è quello del portavoce di Marzano: 105 mila euro fino ad ottobre 2015. E poi spiccano anche i 35 mila per la collaborazione dell’economista Carlo Dell’Aringa, appena eletto alla Camera dei deputati nella lista del Pd.

Nel bilancio di previsione del 2013 vengono stanziati 5 milioni per far partecipare alle riunioni “estranei al Cnel” e altri 3,5 milioni per “acquisire ed elaborare dati”. Quali dati? Non è specificato. A cosa servano? Nemmeno. Ancora più oscuro l’utilizzo di un milione e mezzo per pagare la pubblicità e le relazioni esterne di un organo la cui esistenza viene ignorata dalla maggior parte delle persone. L’acquisto di carta, penne ed evidenziatori costa ben 350 mila euro. Altri 250.000 per pagare il noleggio e il carburante delle auto blu. Più di un milione viene destinato invece alla manutenzione. Dulcis in fundo i 200 mila euro che verranno spesi per tinteggiare la sontuosa sede del Cnel (villa Lubin) e per realizzare un gazebo sul terrazzo, dal quale i membri del Consiglio, nella bella stagione, potranno godere di uno splendido affaccio su villa Borghese, mentre magari sorseggiano un tè.

L’INTERVISTA

È vero. Va cancellato. Basta con questo inutile carrozzone. Anche Roberto Zaccaria, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze ed ex deputato del Pd, non ha dubbi sul fatto che il Cnel sia un organo ormai superato e superfluo.

Cosa pensa di questo Ente?

“È un luogo edulcorato e raffreddato, il cui ruolo ormai è diventato anacronistico. Il suo peso, con il passare del tempo, è andato via via decrescendo nell’architettura dello Stato. È un istituto pensato dai Costituenti, nel 1948, per attuare una mediazione con sindacati e imprenditori, oggi ben lungi da avere una giustificazione. Ci sono fior fior di istituti che producono una quantità enorme di materiale para-normativo, di gran lunga più incisivo delle proposte di legge elaborate dal Cnel”.

In molti hanno provato ad abolire, con scarsi risultati, questo costosissimo organo. A cominciare da Massimo D’Alema, ai tempi della Bicamerale. Se dipendesse solo da lei cosa farebbe?

“Se potessi scegliere di sostituire un articolo della Costituzione, mantenendone invariato il numero, eliminerei il Cnel e al suo posto inserirei la Consob, l’Agicom e l’Antitrust. Sono autorità amministrative indipendenti che giocano senza dubbio un ruolo di garanzia dei diritti istituzionali molto più importante del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro”.

Come mai si fa così tanta fatica a riformare la Costituzione, anche nei casi in cui c’è un largo consenso?

Perché quando si parla di riforme costituzionali si ha la tentazione sfrenata di utilizzare il “meccanismo delle ciliegie”: una tira l’altra. E poi alla fine salta tutto. Bisognerebbe invece avere la lucidità di toccare quelle poche cose che raccolgono un accordo molto ampio e il coraggio di procedere per punti singoli. È una questione di metodo.