La guerra di Ostia non è finita. Così si sta avverando la profezia di Carminati. Il Cecato era riuscito a controllare il sottobosco criminale. Ma dopo l’arresto la sua pax è terminata

A Ostia si torna a sparare. Ora nel mirino ci sono gli Spada

“La guerra non è mai finita. Io sono qui al 41 bis mentre fuori c’è il mondo”. Era il lontano 2017 quando il boss Massimo Carminati, nel corso del processo su Mafia Capitale, pronunciava una frase che lì per lì era scivolata via diluita in un fiume di parole. Una dichiarazione come tante, a cui nessuno aveva prestato la necessaria attenzione, che però nascondeva un messaggio che oggi, a distanza di due anni, ha il sapore amaro di una profezia nefasta. E le continue vicende di cronaca, con sparatorie e intimidazioni, sembrano davvero dargli ragione. Sparito lui, sparito il controllo del territorio. E adesso, senza voler assolvere il boss, si sta peggio di prima.

La percezione di insicurezza dei cittadini e la ripresa delle attività violente della malavita sembrano aver avuto una decisa impennata. Ironia della sorte, spodestato dal trono il re di Roma, tutti sembrano sentirsi in diritto di reclamare una fetta della torta. E soprattutto si è tornati a sparare, una cosa che il Cecato non permetteva perché “attira l’attenzione delle guardie”. Così oggi non fa alcuna differenza se davanti ad un tabaccaio un gruppo di giovanissimi provetti boss apra il fuoco contro un giovane nuotatore, Manuel Bortuzzo, per giunta in un tragico scambio di persona. Oppure se accompagnare un bambino a scuola, come accaduto qualche mese fa alla Magliana, diventi il teatro perfetto per assassinare qualcuno colpevole di aver alzato la cresta. Tutto è diventato lecito in questo far west dove non vige più nessuna regola, neanche quella criminale.

Del resto il Cecato la sa lunga sul sottobosco criminale di Roma e dintorni per aver militato nell’estremismo di destra, nella banda della Magliana e, in ultimo, nell’organizzazione criminale gestita insieme all’amico Salvatore Buzzi. Ma soprattutto era proprio l’ex Nar che, con un pedigree di tutto rispetto, era riuscito a gestire i rapporti con le altre organizzazioni attive sulla Capitale. Nessuno, infatti, poteva muovere un dito senza che lui ne fosse a conoscenza. E chi faceva da sé, rischiava rappresaglie. Un ruolo di spicco che gli era stato riconosciuto prima che dai giudici di Roma anche dagli altri attori sul territorio tra cui la ‘ndrangheta che considerava Mafia Capitale come un’organizzazione con cui dialogare alla pari.

Oppure i Casamonica che tutti snobbavano perché “so’ zingari, menano e fanno solo casino” tranne l’ex Nar. Anzi Carminati aveva ben chiaro in mente che con quella potente famiglia sinti, in rapida ascesa nel panorama criminale, era necessario trovare un accordo ed evitare inutili rogne. Così sotto la sua ala, il capofamiglia Luciano Casamonica veniva assoldato per 20 mila euro al mese per fare in modo che tenesse buoni i nomadi del campo di Castel Romano su cui Mafia Capitale lucrava. Insomma l’autoproclamatosi re di Roma aveva intessuto rapporti con tutti i maggiori esponenti della criminalità e forse era riuscito letteralmente a tenerli a bada. Ma con l’arresto e la condanna del cecato tutto è cambiato. E così si ritorna ancora una volta alle parole di Carminati che come la mitologica Cassandra, nessuno prendeva sul serio anche se poi puntualmente le loro previsioni si avveravano.

Si torna a sparare, ora sono gli Spada nel mirino.

Dopo un breve silenzio durato poche settimane, a Ostia si torna a sparare. Due giorni fa il portone di un palazzo, in cui abita uno degli Spada, è stato colpito da una raffica di proiettili. Sei colpi sparati nel cuore del feudo del clan, recentemente caduto in disgrazia per via delle inchieste della magistratura, che non possono che mettere in allarme l’intero territorio. Un dominio che sembrava solo all’inizio ma che si è bruscamente interrotto a partire dalla violenta testata di Roberto Spada, in quel momento reggente della famiglia sinti legata ai Casamonica, rifilata al volto del giornalista Rai, Daniele Piervincenzi.

Un gesto che è costato la condanna per mafia nei confronti del boss e che, da quel momento, ha scatenato una serie di operazioni a catena da parte delle forze dell’ordine che hanno letteralmente messo in ginocchio gli Spada. Basterebbe questo per far capire la gravità di questo atto intimidatorio che, giunto in un momento di apparente calma, apre a scenari a dir poco inquietanti. Nel litorale romano, infatti, c’è un vuoto di potere criminale che qualcuno starebbe tentando di colmare. Uno spazio vitale, conteso dai reduci del clan Spada e da nuovi e agguerriti rivali, in particolare i cosiddetti sudamericani, che rischia di degenerare nell’ennesima faida mafiosa.

Del resto il gesto, stando al linguaggio della mala, ha poche interpretazioni se non quella di un avvertimento. E questo appare chiaro sia dal fatto che non c’è stato il tentativo di ferire qualcuno, cosa che avrebbe fatto pensare ad un regolamento di conti, e nemmeno quello di tappare la bocca a persone ritenute scomode. Qui si è sparato per far capire che a Ostia ci sono nuovi pretendenti per la successione degli Spada. Nel comprensorio dell’Ater, infatti, vive un affiliato della famiglia sinti che era stato arrestato nel novembre del 2017 nel corso dell’operazione immediatamente successiva alla famigerata testata.

Se non fosse stato per i sei fori di proiettile, per giunta esplosi in pieno centro e nel cuore di un comprensorio, dell’attacco non se ne sarebbe saputo nulla. Come troppo spesso accade, anche questa volta nessuno ha visto o sentito nulla. Un segno inquietante che spiega come il territorio sia ancora terrorizzato e che fa pensare al fatto che dietro questo atto intimidatorio si nasconda qualcosa di grosso. Con mezzo clan Spada in carcere, tutti starebbero cercando di conquistare un proprio spazio vitale. Sospetti rafforzati anche dal fatto che poche ore prima in via Guido Vincon, non lontano da piazza Gasparri, qualcuno aveva dato fuoco a un’auto in sosta finendo per danneggiarne anche altre due.

Episodi che sembrano legati da un filo rosso, quello di una possibile lotta per il potere che vede da un lato i reduci degli Spada e dall’altro i sudamericani che gli muovono guerra. Insomma sembra proprio che ad Ostia, nonostante i proclami del ministro dell’Interno Matteo Salvini, non si riesca a riportare ordine e legalità perché quando un impero criminale finisce, ce n’è subito uno pronto a prenderne il posto.