La Procura di Reggio Emilia chiude l’inchiesta sul caso Bibbiano. Gli indagati sono 26, 108 i capi di imputazione. Ma il sindaco secondo la Cassazione non doveva essere arrestato

La Procura di Reggio Emilia ha notificato a 26 persone l’avviso di conclusione delle indagini nell’ambito dell’inchiesta ‘Angeli e Demoni’ sui presunti affidi illeciti nella Val d’Enza e che a maggio vide scattare misure cautelari. I capi di imputazione contestati nell’atto, che di solito prelude a una richiesta di rinvio a giudizio, sono 108. Tra gli indagati compare anche il nome del sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti (nella foto). La stessa procura reggina ha fatto sapere che “è stata stralciata la posizione di 4 indagati, per uno dei quali è già stata avanzata ed accolta richiesta di archiviazione”.

“Sono stati contestati tutti i capi di imputazione – aggiungono in una nota gli inquirenti -, numerosi dei quali ulteriormente integrati nella descrizione del fatto, in relazione ai quali il gip aveva emesso la misura cautelare” insieme a “quelli per i quali, anche successivamente tale data, è stata emessa in tre occasioni dalla medesima misura interdittiva”. “Il titolare dell’indagine ha, al momento, prestato consenso alla richiesta di patteggiamento avanzata da uno degli indagati per cui è fissata udienza davanti al gip il 27 gennaio 2020. Risultano al momento ancora sottoposti a misura cautelare (non custodiale e o interdittiva) 3 indagati”.

“Rispetto ai 102 capi di imputazione – si legge ancora nella nota diffusa dalla Procura di Reggio Emilia – inizialmente contestati, si è proceduto all’avviso di conclusione indagini in ordine a 108 capi di imputazione, a vario titolo contestati agli indagati di peculato, abuso d’ufficio, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, falsa perizia anche attraverso l’altrui inganno, frode processuale, depistaggio o frode in processo penale, rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale, falso ideologico in atto pubblico anche attraverso l’altrui inganno, maltrattamenti in famiglia, lesioni dolose gravissime, violenza privata, tentata estorsione, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”.

Per quanto riguarda la posizione di Carletti, indagato solo per abuso d’ufficio e non per falso, la Cassazione, proprio oggi, ha detto che non c’erano gli elementi per imporre la misura coercitiva dell’obbligo di dimora nei suoi confronti. I supremi giudici, nelle motivazioni del verdetto che il 3 dicembre ha annullato senza rinvio la misura cautelare nei confronti del sindaco di Bibbiano, rilevano “l’inesistenza di concreti comportamenti”, ammessa anche dai giudici di merito, di inquinamento probatorio e la mancanza di “elementi concreti” di reiterazione dei reati. Sul rischio di inquinamento probatorio la Cassazione sottolinea che l’ordinanza del riesame di Bologna – che il 20 settembre ha revocato i domiciliari a Carletti imponendo però l’obbligo di dimora – non si è basata su “una prognosi incentrata sul probabile accadimento di una situazione di paventata compromissione delle esigenze di giustizia”.

Anzi, il riesame – prosegue il verdetto – “pur ammettendo l’inesistenza di concreti comportamenti posti in essere dall’indagato, ne ha contraddittoriamente ravvisato una possibile influenza sulle persone a lui vicine nell’ambito politico amministrativo per poi inferirne, astrattamente e in assenza di specifici elementi di collegamento storico-fattuale con la fase procedimentale in atto, il pericolo di possibili ripercussioni sulle indagini”. Tutto “senza spiegare se vi siano, e come in concreto risultino declinabili, le ragioni dell’ipotizzata interferenza con il regolare svolgimento di attività investigative ormai da tempo avviate”. Di “natura meramente congetturale” anche il rischio di reiterazione.