Macron tenta la presa dell’Europa. E lancia Barnier per il dopo Juncker. Il francese potrebbe ottenere l’ok anche da Visegrad. Merkel al Consiglio europeo per convincere i Popolari

Che la partita sia delicata, lo rivela il fatto che, prima della riunione informale tra i capi di Stato e di Governo di ieri, il presidente in carica del Consiglio Ue, Donald Tusk, ha obbligato tutti a lasciare fuori dalla sala computer e smartphone. Neanche i cosiddetti “Antici” (i diplomatici che redigono lo stenografico dei dibattiti) e gli ambasciatori hanno potuto partecipare. Segno, evidentemente, di come lo scontro sia stato acceso. E, forse, anche inevitabilmente. Per due ordini di ragione: le elezioni europee hanno portato a uno scenario parlamentare più frastagliato e, dunque, più difficilmente uniformabile; i tempi stringono considerando che il Consiglio, dopo queste riunioni informali, dovrà fornire il proprio nome entro il 20-21 giugno, quando il Consiglio Ue tornerà a riunirsi.

Quel che pare certo è che il sistema dello spitzenkandidat (i “candidati-guida” che i partiti esprimono prima delle elezioni per la presidenza della Commissione) è ormai saltato. Difficile, infatti, per il Partito Popolare spingere su Martin Weber essendo sì il partito più votato ma non in maniera così netta. Che si arriverà a una larga maggioranza insieme a Socialisti e Liberali (e forse Verdi), appare ormai certo. Il che significa, verosimilmente, il fatto che anche Frans Timmermans (candidato dei Socialisti) e Margareth Vestager (candidata dei Liberali) dovranno rinunciare alle loro pretese.

L’ATTIVISMO DELL’ELISEO. Ed è qui che, in anticipo rispetto a tutti gli altri candidati, entra in gioco Emmanuel Macron. Dopo la sconfitta in casa contro Marine Le Pen, il presidente francese ha compreso l’esigenza di salvaguardarsi in sede europea. Non è un caso che lunedì abbia incontrato il leader spagnolo Pedro Sanchez, pedina fondamentale nello schieramento socialista. Macron, dopotutto, sa che deve portare dalla sua i Socialisti per far “capitolare” i Popolari. Tra i pezzi grossi del Pse sentiti da Macron nelle ore scorse ce n’è un altro che gode di solidi consensi in patria: il premier portoghese Antonio Costa.

Ed è molto significativo che Costa si sia lanciato in un attacco di inusitata durezza contro Weber, ricordando la rigidità del suo approccio nei confronti dei Paesi, come il Portogallo, finiti dentro a un programma di prestiti per evitare il crac. Macron, però, si è spinto oltre. E nella giornata di ieri, raccontano i ben informati, ha incontrato anche Victor Orban e i rappresentanti dei Paesi di Visegrad, che avrebbero espresso il loro parere favorevole per quello che è diventato di fatto il candidato sponsorizzato da Macron: Michel Barnier.

EFFETTO DOMINO. Barnier, che politicamente appartiene al Ppe, ha un’esperienza senza pari: due volte commissario europeo (alle Politiche regionali e al Mercato Unico) e quattro volte ministro in Francia. Il risiko, dunque, è cominciato. E, ovviamente, ogni pedina richiede una contropartita. Ed è proprio per questo che Barnier potrebbe essere appoggiato se ai Popolari venisse concesso altro ruolo-chiave. Un’ipotesi sul tavolo potrebbe essere quella di Angela Merkel al posto di Tusk a capo del Consiglio Ue.

Ipotesi che lascerebbe la presidenza dell’Europarlamento ai Socialisti. Resterebbero, infine, Visegrad da accontentare. La pedina di scambio, raccontano i media, è Maros Sefcovic, attuale vicepresidente del gruppo, che Orban & C. proporranno al posto di Federica Mogherini. Gli unici a restare fuori dai giochi? I sovranisti. Che rischiano di non toccare palla in Europa.