Referendum a rischio fallimento. Solo Berlusconi può salvarli

di Vittorio Pezzuto

Chiedere a Mario Staderini, il segretario dei Radicali italiani, a che punto sia la raccolta delle firme sui dodici quesiti referendari significa ricevere una risposta davvero sorprendente: «Non lo sappiamo». In che senso scusi? «Nel senso che non siamo in condizione di conoscere il numero aggiornato delle sottoscrizioni finora ottenute. Anche perché socialisti, esponenti del Pdl e leghisti – che a suo tempo ci avevano richiesto una quantità rilevantissima di moduli carbonati con i quesiti che hanno deciso di sostenere – non ci hanno ancora comunicato i risultati della loro raccolta estiva». Com’è possibile? «Vedete, non esiste un comitato promotore che sovrintende alla campagna ma solo la buona volontà di quanti si sono autonomamente attivati per il successo dell’iniziativa. E non abbiamo nemmeno un conteggio preciso dei risultati ai nostri banchetti». Addirittura? «Posso solo dire che ai tavoli radicali si può ovviamente aderire a tutte e dodici le proposte di referendum e che a metà agosto avevamo raccolto circa 45mila firme su ciascun quesito». Un po’ pochino, tenuto conto che ci troviamo ormai a un mese dal termine della campagna, quando andranno depositate in Cassazione mezzo milione di firme autenticate e certificate in calce a ciascun quesito.
Scordatevi le campagne referendarie degli anni Ottanta e Novanta, quando i militanti radicali riuscivano ad allestire quotidianamente decine di tavoli di raccolta nelle principali città italiane e in serata davano conto – prima al comitato promotore di via di Torre Argentina e poi in diretta a Radio Radicale – del bottino giornaliero di firme e di autofinanziamento raccolti.
Staderini non si nasconde: «Ancora a fine luglio riuscivamo a organizzare un centinaio di tavoli a settimana con meno di 200 firme di media per ogni postazione. La realtà è che il nostro sforzo militante non è adeguato all’obiettivo. Rispetto al passato, non siamo riusciti neanche a organizzare i cittadini che volevano aggregarsi intorno alle proposte referendarie: mancavano infatti gli autenticatori. Per questo diventa adesso decisivo ottenere nei prossimi giorni una grande resa da parte delle segreterie dei Comuni. Resto convinto che ce la possiamo ancora fare. Sempre che gli italiani vengano finalmente informati su questa opportunità e sperando che gli stessi Comuni non si facciano trovare impreparati».
L’appoggio di Silvio Berlusconi alla campagna referendaria diventa quindi determinante, sempre che il Pdl decida di sostenere in maniera strutturata una battaglia che potrebbe assicurare già l’anno prossimo una grande occasione di dibattito e voto popolare su questioni che il Parlamento non riesce nemmeno a mettere in calendario.
I radicali ci sperano, e intanto prendono atto che dal Partito democratico finora non è giunto alcun segnale di attenzione sui referendum, nemmeno su quelli che sollevano questioni che a parole sono care alla sinistra. Staderini osserva che tra i due partiti dell’attuale maggioranza «c’è una diversità di convenienze: a qualcuno conviene investire sullo strumento referendario, ad altri no. Bisogna vedere chi avrà fatto bene i calcoli». E intanto è costretto a prendere atto che nemmeno Matteo Renzi ha intenzione di rompere a sinistra una tradizione di diffidenza e ostilità allo strumento referendario (con l’unica eccezione del quesito contro la legge 40 sulla fecondazione assistita). «Renzi ha dichiarato che farebbe salti di gioia se fosse abolita la legge Bossi-Fini. A questo punto lo incalzo e gli chiedo, come pensa di abolirla se non attraverso il nostro referendum?» osserva Staderini. «Nessuno dei candidati alla segreteria del Partito democratico ha appoggiato la nostra iniziativa referendaria. Eppure, ieri, alla festa nazionale del Pd, la base ha firmato. In poche ore abbiamo raccolto 300 firme». Tanta manna, di questi tempi.

L’ALLARME DI GALAN SULLE FIRME CHE MANCANO
L’ex ministro contro i don Abbondio del partito: ora sottoscrivano tutti

È sufficiente accennare ai referendum radicali e subito a Giancarlo Galan si aprono il sorriso e anche il cuore del politico innamorato della Forza Italia degli esordi, quella che prometteva in pochi anni la rivoluzione liberale in un Paese da sempre cattocomunista. Il presidente della Commissione Cultura della Camera si coccola tutti i quesiti di Pannella («Mica soltanto quelli sulla giustizia!») e dopo un’estate in cui ha cercato con tanti suoi amici di dare una mano alla raccolta delle firme, osserva sornione che per mobilitarsi non occorreva certo aspettare l’imprimatur del Cavaliere.

In effetti da tempo il Pdl aveva aderito ai referendum sulla giustizia.
Vero, ma dire che il partito si sia mosso è davvero un po’ troppo dura. Solo l’ala liberale di Forza Italia ha risposto subito sottoscrivendo in blocco tutti i quesiti. Mentre gli altri hanno invece preferito aspettare per vedere cosa faceva Silvio. Li capisco: se non hai coraggio non puoi certo dartelo. Non sono mica tutti come Stefania Prestigiacomo e Gabriella Giammanco…».
Tra i primi a firmare ci sono stati anche Mariastella Gelmini e Fabrizio Cicchitto.
«Cicchitto? Faccio davvero molta fatica a immaginarmelo…».
Si sbaglia, c’è la prova fotografica.
«Beh, allora ci devo credere per forza».
Riuscirete a garantire agli italiani questo appuntamento referendario?
«Guardi, non ho notizia di una mobilitazione particolare, ma alla mia età credo di conoscere l’animo umano. Ora in tantissimi vorranno seguire il Capo. In fondo non rischiano più nulla. Quello che fa Silvio va sempre bene, anche se il giorno prima erano pronti a giurare il contrario».
Berlusconi ha deciso di firmare tutti i questiti, anche quelli su cui non è d’accordo…
«Ha dato una splendida lezione di liberalismo a Gasparri e Giovanardi…».
Nella scorsa legislatura i radicali erano alleati del Pd, che sui referendum ostenta indifferenza se non ostilità.
«È un paradosso che non mi meraviglia. Da sempre radicali e liberali sono costretti a un continuo peregrinare alla ricerca della possibilità di fare politica. Nel 1994 avevano trovato certamente una sponda in Forza Italia, ma da allora quel progetto si è così annacquato da costringere Pannella e i suoi a cercare una collocazione a sinistra. Dove sono stati odiati, calpestati, vilipesi perché non c’è nulla di più illiberale della radice ideologica della sinistra italiana».