Torna la cupola dei palermitani. Non c’è più un capo dei capi. Rialzano la testa le famiglie trucidate da Riina. Nuovo asse tra il vecchio potere mafioso e i boss Usa

Potentissimo, ricchissimo e pericolosissimo. Matteo Messina Denaro (nella foto) è tra i latitanti più pericolosi al mondo. Ma non è il capo di Cosa Nostra. Come sostengono da tempo diversi magistrati la primula rossa è al vertice solo del mandamento di Castelvetrano e persino nel trapanese fa fatica a mantenere il controllo dell’organizzazione criminale. Con la morte nel 2017 di Salvatore Riina non è stato ancora scelto un boss dei boss, ma a cercare l’erede di Totò u curtu, come specifica ora la Direzione investigativa antimafia, sono negli ultimi tempi proprio quelle famiglie mafiose storiche palermitane che i corleonesi hanno cercato di sterminare, costringendole a fuggire negli Stati Uniti, e lo stanno facendo stringendo nuovi legami con le famiglie mafiose americane. Archiviata la stagione dello stragismo e della sfida allo Stato, della rivoluzione scatenata all’interno di Cosa Nostra dai viddani di Corleone non resta niente.

I TEMPI DELLE BELVE. I corleonesi, negli anni ‘80, dalla periferia conquistarono l’impero. Feroci, considerati delle vere e proprie belve dagli stessi mafiosi, Riina e i suoi effettuarono omicidi eccellenti, come quello del commissario Boris Giuliano, e si resero poi responsabili delle stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992, eliminando nel frattempo i capi storici delle famiglie palermitane. Trucidarono nel 1981 Stefano Bontate, che amava farsi chiamare il principe di Villagrazia, e Salvatore Inzerillo, arrivando a far assassinare anche lo zio e il fratello di quest’ultimo, Antonino e Pietro, nonostante fossero fuggiti negli States. Solo a Palermo si contarono oltre 200 omicidi. E alla fine i superstiti, grazie all’intervento di Paul Castellano, a capo della famiglia Gambino di New York, riuscirono a salvare la vita accettando l’esilio negli Usa. Ora però sono proprio loro, gli “scappati”, a riprendere il potere, a cercare di rimettere in piedi la cupola e a farlo sfruttando gli ottimi rapporti con Cosa Nostra negli Usa, riprendendo quella forte collaborazione avviata nel 1957 con uno storico incontro tra i boss dei due mondi all’hotel delle Palme, di Palermo, dove già allora le famiglie concordarono che il grande affare, ieri come oggi, è quello del narcotraffico.

NUOVO CORSO. “Si segnala un rafforzamento dei rapporti tra esponenti di alcune famiglie storiche di Cosa Nostra palermitane con Cosa Nostra americana, si legge nell’ultima relazione della Dia presentata alla Camera dal ministro dell’interno, Luciana Lamorgese. Manovre compiute mentre “sul fronte interno si registra l’impellente bisogno di un nuovo assetto e di risolvere l’annosa questione della leadership”. Tutti movimenti emersi dalle ultime indagini portate avanti dall’Antimafia in Sicilia. I capi hanno ripreso ad organizzare summit, come l’incontro avvenuto il 9 febbraio 2016 a Catania tra gli esponenti locali di Cosa Nostra e quelli delle province mafiose di Palermo, Agrigento, Enna e Caltanissetta. Gli eredi di Balduccio Di Maggio, che dopo il suo arresto l’8 gennaio 1993 fornì ai carabinieri informazioni fondamentali per catturare Riina, di Salvatore Inzerillo, dei Mannino e degli Spatola, grazie anche al legame con i Gambino di New York, stanno riprendendo grande potere. E nei rapporti internazionali sono coinvolti i vertici delle famiglie di Uditore, Torretta e Passo di Rigano, mentre sul versante americano degli “scappati” un peso decisivo è stato acquisito sempre dagli Inzerillo.

Per la Dia quella che emerge è l’immagine di “Cosa Nostra in ricostruzione”, ansiosa di tornare a pesare anche fuori dall’isola, dove l’economia è in regresso e “non garantisce più risorse sufficienti”. Da una parte proprio la crisi, secondo la Direzione investigativa antimafia, ha creato un bacino di povere in cui i mafiosi sguazzano. Il solo tasso di disoccupazione in Sicilia è del 21,5% a fronte di una media nazionale del 10,6%. Ma in una tale situazione diventa anche impellente per la mafia fare più affari in altre regioni e all’estero. I viddani di Corleone hanno perso, gli inquirenti hanno addirittura registrato nuovi contatti tra le famiglie storiche palermitane e i corleonesi, che ora sono in una posizione di debolezza, e Messina Denaro è un uomo in fuga da 27 anni davanti al quale anche i trapanesi mostrano insofferenza. Si torna all’antico. Senza spargere troppo sangue e pensando solo al business tra una sponda e l’altra dell’Atlantico.