Viaggio a caccia di mascherine. Il made in Italy sfida il virus. Da Nord a Sud tante aziende si sono riconvertite. Così l’emergenza diventa (anche) un’opportunità

Vaiano. Piccola cittadina di 10mila anime alle porte di Prato, uno dei più grandi distretti industriali in Italia, il più grande centro tessile a livello europeo e uno dei poli più importanti a livello mondiale per le produzioni di filati e tessuti di lana. Basti questo: attualmente il distretto pratese conta 34.746 addetti totali nel tessile. Uno di loro si chiama Franco Dreoni, un piccolo imprenditore che porta avanti la tradizione considerando che tutto è nato dall’inventiva e dalla passione della mamma, Giovanna, che oggi ha 91 anni. Oggi il telefono d’azienda squilla all’impazzata: “Siamo stati costretti a mettere una voce registrata e a rimandare alla mail per le eccessive richieste”.

E non per le consegne della produzione ordinaria (Dreoni si dedica sopratutto alla realizzazione di interni per auto e camper) ma perché già diverse settimane fa ha deciso di convertire un ramo d’azienda nella produzione di mascherine: “Le macchine era pressoché le stesse – racconta oggi – e dunque il passaggio non è stato eccessivamente complicato”. Ma il guadagno economico in questa storia non c’entra nulla. “Per noi – dice Dreoni – è diventato un impegno morale, una piccola goccia nel mare della solidarietà”.

UN NUOVO INIZIO. Tutto è nato quando il sindaco di Vaiano, Primo Bosi, contatta l’azienda: tanti dipendenti comunali non avevano gli strumenti di protezione. “Lì abbiamo deciso di dare una mano”. Ma Dreoni ha voluto fare le cose per bene: “Abbiamo chiesto alla Regione gli standard da seguire e uno studio specializzato ha analizzato le fasi di produzione: abbiamo così visto che le nostre mascherine sono uguali a quelle chirurgiche sia per materiale che per capacità di filtraggio”. Da lì è partita una nuova avventura, vitale visto il periodo. Prima 500 mascherine, poi mille, poi 1.500. L’obiettivo, ovviamente, è prima di tutto rifornire il pubblico, poi anche il privato, partendo dalle farmacie del territorio. “Ma riceviamo telefonate da tutt’Italia, speriamo di poter aumentare la produzione per rispondere a quante più persone possibile”. Nel frattempo, però, è lo stesso settore pubblico che ha chiesto una mano all’imprenditore: “C’è esigenza di camici. Speriamo a breve di cominciare anche con la produzione di questo materiale”. Un impegno etico, dunque, prima ancora che commerciale.

DA NORD A SUD. Ma d’altronde di “Dreoni” l’Italia è piena. Non sono pochi, d’altronde, da Nord a Sud gli imprenditori che hanno deciso non solo di rispondere all’esigenza di un Paese intero, ma anche più prosaicamente di rendere l’emergenza un’opportunità. Domani 26 marzo anche un consorzio di produttori italiani inizierà a produrre le mascherine e “a dotare il nostro sistema e il nostro paese delle munizioni che ci servono per contrastare questa guerra ed evitare la nostra totale dipendenza dalle esportazioni”, come annunciato dal commissario straordinario Domenico Arcuri spiegando che si sono messe insieme diverse imprese italiane “posizionate nel settore della moda, senza concorrenza e senza lotte tra loro. Entro due mesi copriranno la metà del nostro fabbisogno”. Ma è solo l’ultimo episodio. Scendiamo in Puglia. Qui il rettore del Politecnico di Bari, Francesco Cupertino, sta coordinando un gruppo di lavoro formato da docenti e ricercatori che sono in contatto con una serie di aziende locali interessate a convertire parte della loro produzione in dispositivi di protezione individuale. E qualcosa già è partito con aziende che hanno cominciato a distribuire mascherine fino in Toscana.

STAMPANTI 3D. E non poteva mancare il Nord, l’area più drammaticamente colpita dall’emergenza Covid-19. E non a caso in prima battuta sono scese in campo le aziende tessili come la Miroglio. Fabbrica di Alba (Cuneo) – 70 anni di storia e un fatturato di 577 milioni di euro (nel 2018) – che ha deciso di mettere da parte l’alta moda per dedicarsi a questo prodotto. Per il momento, come racconta Il Sole 24 Ore, è prevista una produzione di 600 mila mascherine in due settimane, a regime sarà possibile produrre circa 75-100 mila mascherine al giorno. E non è tutto. Anche le lavorazioni sartoriali presenti in alcuni istituti penitenziari dove vengono impiegati i detenuti potrebbero essere immediatamente riconvertite per iniziare a produrre mascherine di tipo chirurgico nel cosiddetto “tessuto non tessuto”. E non manca chi si reinventa.

Come nel caso della Wasp, azienda di Massa Lombarda (Ravenna) che lavora con le stampanti in 3D. “La nostra capacità è quella di poterci reinventare subito con gli strumenti di cui disponiamo”, spiega il presidente Massimo Moretti. E non a caso adesso l’idea è quella di creare mascherine personalizzabili, di modo che aderiscano perfettamente al viso delle persone, senza che filtri il minimo spiraglio di aria (e di virus) all’interno. Un ottimo esempio di come, anche nei momenti più tragici, il nostro Paese riesca a fare squadra e a dimostrare le sue capacità.