La ragnatela di Belsito, così la Lega Nord prendeva soldi. Il giro d’affari alimentato grazie ai rapporti con ‘ndrangheta e massoneria

di Nerina Gatti

Una nuova P2 ndrangheto-lombarda scuote la Lega, arriva a lambire l’Expo 2015 e pone inquietanti interrogativi sulle “talpe” del Carroccio. Come già evidenziato dall’indagine Breakfast, dalla Calabria partono le tracce e le tracciabilità degli affari che gli uomini della ndrangheta, i faccendieri trapiantati a Milano, i vecchi arnesi dell’eversione di destra e importanti imprenditori intessevano, e che avevano come punto di raccordo lo studio di consulenza Mgim, nel cuore di Milano. Non c’è da sorprendersi, anche se ancora in molti, come l’ex prefetto di Milano GianValerio Lombardi e l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni non ne vogliono sapere di ‘ndrangheta dalle loro parti. Infatti, stavolta, non si tratta di sola ndrangheta, ma di ipotesi ancor più inquietanti: di organizzazioni criminali segrete, di soffiate preventive da parte di pezzi marci delle istituzioni, di affari loschi con il Vaticano e addirittura di comprarsi banche all’estero – viene citata spesso la Arner Bank di Lugano- per evitare i controlli di Bankitalia e di procure particolarmente tenaci. Filoni d’indagini ancora tutte da scoprire, grazie al sequestro dei file e dei computer effettuato nell’ultimo blitz. Fin dove arriverà questa associazione segreta, il cui scopo era di agevolare gli affari di una delle cosche più potenti della ndrangheta come i De Stefano è soprattutto più pericolose dal punto di vista della penetrazione a livello criminale, massonico e paraistituzionale?
Con il suggello politico di Francesco Belsito questa cricca segereta, aveva creato “rapporti criminogeni per milioni di euro creando utili sotto forma di crediti d’imposta per riciclare i soldi sporchi.” Tra queste società c’erano Fincantieri, e la multinazionale Siram, che godeva di rapporti preferenziali sia con la regione Lombardia, di Roberto Formigoni, sia con quella Calabria di Giuseppe Scopelliti. Calabria e Lombardia, unite a colpi di Iban, di transazioni e , di triangolazioni tra società “amiche”. Tutte veicolate in quegli uffici a Via Durini, nella MGiM dove l’ex tesoriere dei Nar, Lino Guaglianone mediava gli affari sporchi per la ndrangheta, la Lega, gli imprenditori in odor di mafia e massoneria come l’armatore Matacena, ex deputato di Forza Italia, condannato per concorso esterno e ora latitante e Montesano, tycoon calabrese finito nei guai per bancarotta e intestazione fittizia di beni con aggravante mafiosa, con legami alla Bocconi.
D’altronde già nel 1993 il pentito di Cosa Nostra, Tullio Cannella dichiarava ai pm di aver saputo da Vito Ciancimino che la vera massoneria era in Calabria, perché i calabresi hanno appoggi dei servizi segreti. “A Lamezia Terme- racconta Cannella – si tenne la riunione con esponenti di “Sicilia Libera”, altri movimenti separatisti meridionali, e ed esponenti della Lega Nord.”

La cricca masso-ndranghetista
Non deve quindi sorprendere il blitz di qualche giorno fa della Direzione Investigativa Antimafia, a firma del pubblico ministero della Dda reggina Giuseppe Lombardo e di Francesco Curcio, sostituto Nazionale Antimafia, coordinati dal procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho. Al setaccio oltre 25 società, quattro filiali di Banca Intesa, una del Credito Artigiano e una della Banca Popolare di Vicenza, dove lavora uno dei componenti della società segreta, Ivan Pedrazzoli. Gli uomini del colonnello Gianfranco Ardizzone, erano a caccia di conti correnti serviti per far transitare fondi di provenienza illecita per poi essere riciclati. La “cricca masso-ndranghetista” grazie alle coperture politico-istituzionali e finanziarie dei loro componenti, muoveva centinaia di milioni di euro. Ma ora, i reati sono associazione a delinquere finalizzata ad agevolare la cosca De Stefano e violazione della legge Anselmi sulle società segrete, istituita proprio dopo l’indagine sulla P2 di Licio Gelli, figura con la quale i De Stefano hanno intrattenuto rapporti anche grazie all’ex deputato del Psdi, Paolo Romeo, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, per aver favorito la cosca.

I personaggi
Tra gli indagati e organizzatori di questa “società criminale segreta” figurano: Pasquale “Lino” Guaglianone, una condanna per terrorismo, ex politico vicino a Ignazio La Russa. Con il socio Giorgio Laurendi, anche lui indagato, fonda la Mgim. Guaglianone sfrutta bene le amicizie politiche e accumula incarichi prestigiosi ma sarebbe stata strategica per la cricca la sua posizione in Fiera Milano Congressi, che è diventata recentemente il partner ufficiale e organizzatore di spazi dell’Expo 2015. Altro organizzatore, sarebbe Bruno Mafrici, nominato consulente del ministero della Semplificazione da Belsito che ne era sottosegretario. Sarà così che aiuterà gli “amici” ad entrare nella cuccagna dei bandi e degli investimenti statali. Ma Mafrici, cura anche i rapporti con i politici calabresi tra cui il governatore della Calabria Scopelliti. Proprio di Scopelliti è amico e alleato politico un altro indagato, Giuseppe Sergi. Nella lista spunta un altro importante imprenditore reggino Michelangelo Tibaldi, che rilevò le azioni della Fiat in Multiservizi, una società mista del comune di Reggio Calabria che è risultata in mano alla ndrangheta. L’intreccio cosche-amministratori della Multiservizi è uno dei fattori che ha portato allo scioglimento per contiguità mafiose- del comune di Reggio Calabria nell’ottobre 2012. Ma la storia del colosso torinese che investe in una società proprio a Reggio Calabria è un’altra storia sulla quale bisognerà fare chiarezza.
Un ruolo di supporto lo fornivano Angelo Viola, investigatore privato, e Romolo Girardelli, ex estremista di destra e uomo dei De Stefano per gli affari in Liguria.

Frequentazioni strategiche
Ma nel decreto di perquisizione i pm non dimenticano di citare Paolo Martino, ambasciatore dei De Stefano in Lombardia ed oltre. Martino ha frequentazioni strategiche. Tra queste Luca Giuliante, legale di Formigoni (oltre che di Lele Mora e “Ruby”) ma soprattutto membro regionale del Pdl e tesoriere per la Lombardia del partito di Berlusconi. Giuliante viene intercettato mentre parla con il boss Martino dandogli delle dritte su una gara d’appalto che avrebbe interessato la ditta Mucciola, famiglia romana di imprenditori con sede a Reggio Calabria e cliente della Mgim che poi si aggiudicò dei lavori al Pio Albergo Trivulzio. La Mucciola spa è tra le aziende perquisite nel blitz. Questo “cerchio criminogeno” ha consentito agli indagati di diventare il terminale di un sistema criminale occulto, che riusciva ad acquisire e gestire proficuamente informazioni riservate fornite da soggetti che sono ancora in corso di individuazione, ma sicuramente facenti parte delle istituzioni. Come già confessato da Belsito, i “colonnelli” della Lega, come l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli erano conoscenza delle perquisizioni prima che avvenissero. Si può dedurre, quindi, che tra le “talpe” del Carroccio ci siano addirittura dei magistrati. I prossimi sviluppi si attendono dalle rogatorie richieste in Tanzania, a Cipro e soprattutto in Svizzera dove la cricca aveva un base a Lugano.