Oggi è la Giornata nazionale contro la pedofilia e la pedopornografia. Puntuali arrivano i comunicati istituzionali. Parole, molte. Ma se bastassero le parole, oggi non ci troveremmo di fronte a un’emergenza permanente. Se bastassero i comunicati, non ci sarebbero stati 2.809 casi trattati nel solo 2024 tra pedopornografia e adescamento online. Non ci sarebbe stato bisogno di 144 arresti e oltre mille denunce.
Secondo i dati diffusi da Save the Children, nel primo semestre del 2024 le vittime di pornografia minorile in Italia sono quasi raddoppiate: da 75 a 137. Il 66% ha meno di 14 anni. Gli episodi di adescamento online sono saliti a 370, con oltre la metà delle vittime tra i 10 e i 13 anni, e un drammatico 7% sotto i 10. L’estorsione sessuale digitale – la sextortion – ha coinvolto 127 minori, l’87% dei quali adolescenti. Crescono anche i casi di revenge porn: erano 29 nel 2023, sono già 42 nei primi mesi del 2024. Eppure, nel lessico politico di governo, il termine “educazione sessuale” resta tabù. Mentre i dati raccontano una realtà dove la violenza sessuale passa attraverso legami di fiducia tradita, amicizie simulate, relazioni abusanti nei contesti familiari e scolastici.
La prevenzione che manca, la repressione che arriva troppo tardi
L’abuso sessuale sui minori in Italia non è una deriva occasionale, è un sistema che sopravvive nella cecità istituzionale e nelle pieghe di un impianto normativo che reagisce con forza quando il danno è fatto, ma interviene troppo poco e troppo tardi per prevenirlo. Le leggi ci sono. L’apparato repressivo è ampio, articolato, persino aggiornato alle nuove forme di criminalità digitale. Ma la risposta continua a essere sbilanciata: dopo, mai prima. Quando la violenza è già accaduta. Quando i video sono già stati scambiati. Quando le vite sono già spezzate.
Nel frattempo, l’infrastruttura preventiva resta fragile. Le scuole italiane, seppur presidio privilegiato di accesso ai minori, non hanno un obbligo nazionale di attivare programmi di educazione sessuo-affettiva. Manca un protocollo operativo vincolante per formare il personale scolastico e sanitario a riconoscere i segnali di disagio. I servizi sociali, dove esistono, operano con risorse insufficienti, senza garanzie di omogeneità territoriale. Le ONG – da Telefono Azzurro a Save the Children, da Terre des Hommes al CISMAI – sopperiscono come possono, raccogliendo dati, sostenendo le vittime, promuovendo campagne. Ma non può spettare al terzo settore il compito esclusivo di difendere l’infanzia.
Serve un cambio di paradigma. Le soluzioni esistono, sono scritte nero su bianco nel report allegato oggi proprio da Save the Children: introdurre per legge programmi obbligatori di educazione affettiva, sessuale e digitale, strutturati per età, dalla primaria alla secondaria. Formare tutti i professionisti che lavorano con i minori – insegnanti, medici, operatori dei servizi, magistrati – all’individuazione precoce dei segnali d’abuso. Finanziare reti di servizi multidisciplinari per l’assistenza legale, psicologica, sanitaria e sociale delle vittime e delle famiglie, in ogni area del Paese. Rafforzare i canali di segnalazione, anche anonima, e semplificare l’accesso alle tutele. E poi creare un sistema nazionale di monitoraggio permanente, centralizzato, trasparente.
Un sistema che fallisce: quando le istituzioni voltano lo sguardo
I casi emblematici non mancano. Il Forteto – la comunità toscana dove per decenni minori affidati dal Tribunale sono stati abusati e manipolati – mostra cosa succede quando le istituzioni non comunicano, quando i segnali vengono ignorati, quando i sistemi di vigilanza falliscono. All’opposto, l’operazione internazionale che ha smantellato “Kidflix”, una piattaforma con 1,8 milioni di utenti attivi nel dark web, rivela quanto sia cruciale la cooperazione transnazionale, la tracciabilità delle criptovalute, l’utilizzo di tecnologie investigative avanzate. Ma nemmeno questo basta, se non si agisce a monte, sulle cause sociali e culturali che rendono un minore vulnerabile alla manipolazione.
È necessaria anche una nuova cultura pubblica. L’educazione digitale non può essere opzionale. Gli strumenti di parental control non possono sostituire la responsabilità dello Stato. La prevenzione dell’abuso sessuale deve diventare una priorità strutturale della politica educativa, sanitaria, penale. E serve il coraggio di agire anche dove è più scomodo: nei contesti familiari, dove avviene la maggior parte degli abusi. Nel 70% dei casi, l’autore è un conoscente stretto, un familiare, un adulto di fiducia. La difesa dell’infanzia passa anche attraverso lo smantellamento dei miti rassicuranti su casa, scuola e comunità.
Contro la pedofilia non serve un giorno all’anno. Serve una strategia continua. Serve un investimento pubblico stabile. Serve la consapevolezza che un Paese che non protegge i propri bambini è un Paese che fallisce la sua stessa civiltà. Serve, infine, la volontà politica di non lasciarli soli. Non più. Mai più.