Dal Jobs Act alla Buona scuola. Ecco tutti i disastri che ci ha lasciato Renzi. L’Esecutivo di allora aveva promesso di rivoluzionare l’apparato burocratico. Ma pure quella legge si è arenata

Dal Jobs Act alla Buona scuola. Ecco tutti i disastri che ci ha lasciato Renzi. L’Esecutivo di allora aveva promesso di rivoluzionare l’apparato burocratico. Ma pure quella legge si è arenata

Jobs Act, Riforma costituzionale, Buona scuola, Voluntary disclosure, F-35. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Tra disastri e beffe la stagione di Matteo Renzi a Palazzo Chigi è indimenticabile e, probabilmente, resterà tale a lungo. Numeri alla mano, il governo del fare, dello #staisereno ha portato a casa un notevole numero di riforme. Che, tuttavia, hanno creato scontento più che benessere. Prova ne è, su tutti, il Jobs Act: la riforma del lavoro, a detta di non pochi sociologi e giuristi, ha eliminato tutele piuttosto che crearle, con l’aggravante di aver cancellato l’articolo 18. Risultato? L’occupazione non è salita nonostante i tanti fondi concessi alle imprese, mentre a crescere è stata soltanto la tensione che si è percepita in numero crescente di scioperi e conflitti sociali.

LA BUONA SOLA. Sulla stessa identica scia la tanto sbandierata “buona scuola”. Renzi, con il suo esecutivo al seguito, era stato chiaro: bisogna abbattere l’età degli insegnanti ormai lontani da un punto di vista generazionale dai loro studenti. E poi, soprattutto, bisogna combattere la “supplentite” della scuola italiana. Tutto vero. Bravo, bene, bis. Quali sono, però, i dati dopo la sua riforma? Nulli. All’indomani degli effetti della legge fortemente voluta e sponsorizzata dal governo, i supplenti sono stati 141.996; erano 151.605 nel 2014 prima dell’approvazione delle nuove regole. I numeri dei supplenti sono dunque calati di 9.609 unità, il 6,3%. Nient’altro che briciole grazie alla “Buona scuola”.

E che dire ancora dell’invecchiamento? I dati successivi alla riforma parlavano di un’età media rimasta sempre e comunque al di sopra dei 50,6 anni. E, a chiudere il cerchio, non si può non citare l’alternanza scuola-lavoro, tema su cui pochi giorni fa una studentessa ha steso il povero Renzi in diretta a L’aria che tira. Non c’è studente oggi in Italia che non pensi che l’alternanza scuola-lavoro sia un fallimento colossale, che nulla aggiunge da un punto di vista formativo e che tanto si avvicina alla perdita di tempo (quando non al vero e proprio lavoro sotto la veste di tirocinio).

IL DISASTRO DELLA RIFORMA BOSCHI. Siamo, però, soltanto all’inizio di questo nostro viaggio nella Caporetto renziana. Qualcuno, probabilmente, dirà che il ragionamento prosegue per partito preso. Difficile dirlo quando i numeri dicono che il Pd è sprofondato da un 40% raggiunto alle europee del 2014 a circa la metà alle politiche del 2018, per passare poi al 3-4% (a essere ottimisti) di Italia viva. Non sono, però, queste le uniche percentuali che hanno segnato il cammino del governo renziano. Anzi: a decretarne la fine è stata un’altra storica votazione che tutti ricorderanno. Era il 4 dicembre 2016: gli italiani erano chiamati a confermare o bocciare la riforma costituzionale promossa da Maria Elena Boschi.

Il buon Renzi aveva, come al solito, catalizzato l’intera attenzione su di sé. Aveva addirittura promesso: se non vinco il referendum lascio non solo il governo ma anche la politica. Quasi fosse il Temporeggiatore Fabio Massimo, che si ritirò a vita privata. Com’è andata è noto a tutti: 6 italiani su 4 hanno bocciato la riforma, il governo Renzi e di fatto Renzi stesso. La cui promessa è stata mantenuta a metà: ha sì lasciato il governo, ma non la politica. Tanto che oggi assistiamo a un nuovo incredibile teatrino.

CAPORETTO. Ma i disastri di quella stagione non finiscono certamente qui. Anche se – è bene dirlo – il leader di Italia viva condivide anche con suoi successori e predecessori. Aveva ad esempio promesso di bloccare il programma degli F-35. Altra trovata pubblicitaria mai seguita da fatti concreti. Aveva promesso di digitalizzare e svecchiare l’apparato amministrativo e burocratico. E invece, in un’altra riforma senza arte né parte, nessun risultato è stato conseguito, tanto che la legge (promossa da Marianna Madia) si è arenata dinanzi ai rilievi di ordine amministrativo e costituzionale. Tanti slogan, dunque. E pochissimi fatti. E quelli che ci sono, sono pure dannosi.