I voti dei Cinque Stelle non sono scontati. Grillo detta le condizioni a Super Mario. La sfida finale per il nuovo Esecutivo si deciderà sui programmi. Per Draghi vincerla non sarà facile

I voti dei Cinque Stelle non sono scontati. Grillo detta le condizioni a Super Mario. La sfida finale per il nuovo Esecutivo si deciderà sui programmi. Per Draghi vincerla non sarà facile

E’ il giorno della schiarita per Mario Draghi. Dopo la disponibilità accordata da Pd e Iv, aumentano i segnali distensivi nei suoi confronti anche dalle altre forze politiche. Tanto che al Colle si registra “un moderato ottimismo”. E la strada in salita cambia verso e imbocca la discesa. Poco prima dell’avvio delle consultazioni, che iniziate ieri con i partiti più piccoli (tutti all’unanimità pro Draghi, anche quelli che gravitano nel centrodestra) dureranno fino a sabato, Giuseppe Conte apre al premier incaricato: “Mi descrivono come un ostacolo, evidentemente non mi conoscono o parlano in malafede”. All’ex numero uno della Bce affida un suggerimento: “Le urgenze del Paese richiedono scelte politiche, non possono essere affidate a squadre di tecnici”.

Prima di lui Luigi Di Maio ritiene che sia “un dovere ascoltare Draghi” e chiede una prova di maturità: “Non abbiamo cercato noi lo stallo” ma “è proprio in queste precise circostanze che una forza politica si mostra matura agli occhi del Paese”. E Beppe Grillo stesso avrebbe suggerito ai 5Stelle di sedersi al tavolo del confronto e di considerare l’opzione di un governo Draghi che abbia però una precisa connotazione politica. E soprattutto Grillo avrebbe posto alcune condizioni propedeutiche alla formazione del nuovo governo: difesa di tutti i provvedimenti portati a casa dal governo Conte, come il reddito di cittadinanza, il decreto dignità e le norme anticorruzione, e un programma che abbia tra i punti principali il reddito universale, una imposta patrimoniale per i super-ricchi, acqua pubblica, blu economy, digitalizzazione, conflitto di interessi e banca pubblica.

Si diceva che sono aumentati i segnali distensivi verso Draghi: anche troppo si direbbe. Fatta eccezione per Giorgia Meloni, azzurri e Lega aprono. Silvio Berlusconi non ha dubbi: “La scelta del presidente della Repubblica di conferire a Mario Draghi l’incarico di formare il nuovo governo va nella direzione che abbiamo indicato da settimane”. Si sbottona anche la Lega che vuole andare a vedere le carte: “E’ mio dovere fino a sabato, prima di dare un giudizio definitivo, ascoltare Draghi”, dice Matteo Salvini. Con Giancarlo Giorgetti che sostiene che quello dell’ex numero uno della Bce (“Un fuoriclasse come Cristiano Ronaldo”), nella situazione economica e sociale drammatica in cui versa il Paese, è un treno che non si può certo perdere.

Ma – ed è qui che il gioco si fa duro – anche la Lega come il M5S porrà le sue condizioni. Al tavolo porterà i temi posti già nei giorni scorsi: taglio delle tasse, taglio della burocrazia, difesa di quota 100, flat tax al 15%, difesa dei confini, riforma della giustizia, avvio dei cantieri, rottamazione delle cartelle di Equitalia e piano vaccinale serio. E si ritiene che lo stesso facciano le altre forze politiche. Quindi il problema ora non è più “chi” è disponibile a sostenere Draghi ma “come” conciliare le condizioni di quanti s’offrono a fornire il loro supporto. Come armonizzare il programma di Grillo con le idee di Forza Italia?

Come sposare le condizioni della Lega con quelle del Pd? Anche se il leader dem Nicola Zingaretti pare non chiudere la porta a nessuno. “Noi mettiamo sul campo punti di programma molto chiari, tra i quali una chiara vocazione europeista. Su questo, penso che noi e la Lega siamo forze alternative”, dice. Ma, aggiunge, “spetta al professor Draghi costruire il perimetro della maggioranza”. Salvini sbotta: “Draghi dovrà scegliere tra Grillo e la Lega, tra la patrimoniale e il taglio delle tasse”. Giorgetti, ad ogni modo, annuncia che il Carroccio non prenderà in considerazione l’ipotesi dell’astensione proposta dalla Meloni: “O saremo a favore o voteremo contro”. E in un’intervista all’Agi spiega che se l’esecutivo nascesse senza la Lega, “primo partito nel Paese, sarebbe un governo zoppo”. La strada di Draghi, dunque, ora appare pure in discesa ma non priva di buche.