Da un lato il pressing di Joe Biden per impedire l’offensiva terrestre a Rafah e le contro-spinte di parte dell’esecutivo dello Stato ebraico che non vogliono rinunciare all’attacco, dall’altro i timori per un possibile mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale (Cpi), per crimini contro l’umanità, nei confronti del primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, del ministro della Difesa, Yoav Gallant, e del Capo delle forze di autodifesa, Herzi Halevi.
Sembra incredibile, ma mentre i giornali di tutto il mondo stanno dando ampio spazio alle difficoltà che sta vivendo il leader di Tel Aviv, quelli italiani – salvo pochissime eccezioni – se ne stanno disinteressando. Eppure la questione è seria come si capisce dal fatto che Netanyahu, a dir poco terrorizzato dal possibile mandato di arresto che potrebbe arrivare già questa settimana, sta lavorando a una exit strategy.
L’idea, come riportano diversi media israeliani, è quella di sfruttare l’annunciata offensiva di Rafah come merce di scambio con gli Stati Uniti. In altre parole, Israele si impegnerebbe ad evitare un attacco di terra – come chiesto dall’amministrazione Biden –, limitandosi a soli raid aerei così da non causare una crisi di governo, al fine di ottenere un intervento di Washington per frenare la Corte dell’Aia e scongiurare il possibile mandato di arresto. Che le cose stiano così, lo confermano anche fonti della Casa Bianca che hanno dato conto di una telefonata intercorsa tra Netanyahu e Biden.
Netanyahu teme il mandato di arresto della Corte dell’Aia
Qui il leader di Tel Aviv avrebbe implorato l’omologo americano di mettere in campo le proprie capacità persuasive con i giudici, evitando uno smacco internazionale – del tutto analogo a quello già subito dal presidente russo Vladimir Putin – che ne comprometterebbe il futuro politico e che danneggerebbe irrimediabilmente l’immagine dello Stato ebraico agli occhi della comunità internazionale. Intendiamoci, Netanyahu non rischia materialmente di finire in carcere perché Israele non aderisce alla Corte penale internazionale.
Ma lo Stato ebraico non può rischiare l’isolamento diplomatico che un simile provvedimento comporterebbe. Così, deciso ad evitare il provvedimento a ogni costo, il primo ministro di Israele si è rivolto all’unico alleato che ancora gli dà retta, ossia gli Stati Uniti di Biden. E poco importa se quest’ultimi, proprio come Israele e Russia, non aderiscono alla Cpi.
Messo alle strette, Netanyahu è pronto a tutto
Quel che è certo è che il tempo stringe e gli spiragli per evitare il mandato di arresto sono sempre meno. Lo sa bene Netanyahu che in queste ore continua a fare la parte del leone, come testimonia il post su X in cui ha scritto che Tel Aviv “non accetterà mai alcun tentativo da parte della Corte penale dell’Aia di minare il suo diritto fondamentale alla difesa. La minaccia contro i soldati delle Forze di difesa di Israele (Idf) e i personaggi pubblici di Israele, l’unica democrazia in Medio Oriente e l’unico Stato ebraico al mondo, è scandalosa. Non ci arrenderemo”.
Poi, se non fosse sufficientemente chiaro, sempre su X mette le mani avanti aggiungendo: “Anche se le decisioni del Tribunale dell’Aia non influenzeranno le azioni di Israele, costituiranno un pericoloso precedente che minaccia i militari e le figure pubbliche di qualsiasi democrazia che combatta il terrorismo criminale e le pericolose aggressioni”. Stessa posizione ribadita anche dal ministro degli Esteri, Israel Katz, che in previsione di eventuali mandati di arresto ha dato istruzioni a tutte le ambasciate israeliane nel mondo “di prepararsi immediatamente per un’ondata di grave antisemitismo, focolai antiebraici e anti-israeliani”.