Non solo la Guardia costiera, l’Italia addestra pure i piloti dell’aviazione libica

L’Italia formerà i piloti libici per caccia ed F-35, mentre le denunce sulle violenze contro i migranti restano lettera morta

Non solo la Guardia costiera, l’Italia addestra pure i piloti dell’aviazione libica

Adesso li addestriamo anche a volare. Non bastava il mare, dove abbiamo consegnato motovedette e insegnato ai libici come fermare le persone migranti e ributtarle nei lager. Ora l’Italia fa scuola anche in cielo. Piloti di guerra. Cacciabombardieri. Un’istruzione di eccellenza per rinnovare l’aeronautica militare libica, quella stessa forza armata coinvolta – ancora oggi – nelle violazioni dei diritti umani contro migranti e civili. Lo racconta, con dovizia di particolari, Antonio Mazzeo su Pagine Esteri.

Il 25 marzo, a Roma, l’ennesima stretta di mano: il generale Luca Goretti, capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare italiana, e il generale Amhamed Gojel, capo della Libyan Air Force, hanno firmato un accordo per addestrare i “top gun” libici. Un’intesa triennale, la prima nel settore aeronautico, che porta i piloti di Tripoli nelle scuole di volo italiane: il 70° Stormo di Latina per le prime fasi e il 61° Stormo di Galatina, in provincia di Lecce, per il salto di qualità. Aerei T-260, T-345, T-346, fino agli F-35 e agli Eurofighter. L’arsenale bellico di nuova generazione che l’Italia insegnerà a maneggiare. Per difendersi da chi? La domanda resta sospesa, mentre il Mediterraneo si trasforma in un poligono addestrativo.

La missione MIASIT e la guerra ai migranti

Galatina non è una base qualunque: qui opera l’International Flight Training School, il polo internazionale che forma piloti per Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait. E ora Libia. Una continuità militare che non conosce battute d’arresto, nonostante i report delle organizzazioni umanitarie. Nonostante le torture, gli stupri, le sparizioni forzate documentate contro le persone migranti. Nonostante il diritto internazionale.

Il piano di formazione – annota Mazzeo – è stato delineato a Tripoli nel giugno 2024, quando si è riunito il Comitato misto di cooperazione Libia-Italia. Lo stesso che ha deciso di espandere la collaborazione: non solo il mare, non solo i porti. Anche i cieli. Prima con i corsi per controllori del traffico aereo a Pratica di Mare e all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli, poi con l’addestramento vero e proprio dei piloti.

MIASIT, la Missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia, è il contenitore di tutte queste attività. Nata nel 2018, prosegue nel nome della “stabilità” e del “contrasto all’immigrazione illegale”, con 200 militari italiani schierati e un dispiegamento di mezzi aerei e navali. Non ci si limita alla formazione: MIASIT consegna equipaggiamenti, sostiene la Guardia costiera libica, garantisce supporto logistico e consulenza. Lo stesso corpo armato che ha mitragliato barconi, respinto naufraghi, compiuto deportazioni.

Addestramento a tutto campo: dagli Alpini ai piloti

Cinquanta corsi solo nel 2024. Oltre 700 militari libici formati dall’Italia: fanti, artiglieri, alpini, forze speciali. Addestramento per la guerra urbana, per lo sminamento, per la lotta al terrorismo. Addestramento per la repressione. Perché ogni tecnologia militare ha un solo obiettivo: esercitare la forza. E la forza, in Libia, è lo strumento principale per controllare i confini d’Europa.

Nel deserto di Misurata, tra il 9° Reggimento Alpini e i parà della Folgore, l’Italia insegna ai libici a difendere e reprimere. Corsi di combattimento ravvicinato, di scorta in ambienti ostili, di intelligence militare. Ai reparti d’élite della contro-terrorismo libica, gli alpini abruzzesi impartiscono lezioni di guerra. Anche le tecniche di negoziazione sono nel pacchetto: una diplomazia delle armi, per gestire le crisi senza perdere il controllo.

E ora anche il cielo diventa terreno di addestramento. Mentre nel Canale di Sicilia continua la guerra ai migranti, mentre i centri di detenzione libici restano luoghi di tortura e morte, l’Italia rilancia la cooperazione militare. Fornisce droni, equipaggiamenti per lo sminamento, persino materiale elettromedicale. Cura le ferite di un conflitto che continua a soffiare sulle braci. E l’Italia, in questo, gioca il suo ruolo di gendarme. Con orgoglio, con eccellenza, come ripetono i comunicati ufficiali. Ma senza memoria.