Una fornaia di Ascoli Piceno è stata identificata due volte dalla polizia perché il 25 aprile aveva esposto la scritta “L’antifascismo è buono come il pane”. Dove finiremo di questo passo?
Rita Corsani
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Gentile lettrice, scrivevo il 23 gennaio scorso nell’editoriale intitolato “Metamorfosi del fascismo”, che la prassi di identificare chi si dice antifascista era la spia d’una pericolosa involuzione politica. L’episodio della fornaia conferma la mia facile profezia e prevedo fin d’ora nuovi casi, mentre dichiararsi fascista oggi è ammesso e direi incoraggiato. La cosa più inquietante è che non succede solo in Italia, dov’è al potere gente cresciuta in un partito neofascista come il Msi, bensì in tutta Europa. Pensavamo che l’Europa “democratica” potesse svolgere il ruolo del parapetto che sul sentiero evita al viandante di scivolare nel burrone. E invece scopriamo che la brace del nazifascismo covava ovunque in questo troppo vecchio continente: l’Ucraina ha le Brigate Azov e altre simili con la svastica nella bandiera; i Paesi baltici, la Finlandia e altri riscoprono nostalgie naziste e le travestono di russofobia; la Danimarca impedisce di giocare a calciatori scesi in campo con la scritta sulle maglie “Pace a Gaza” mentre con “Pace in Ucraina” erano stati elogiati. Potrei fare mille esempi e il senso sarebbe univoco. I cambi di regime avvengono quasi sempre con mutamenti sociali striscianti accompagnati dal conformismo di molti intellettuali. Il fascismo è un incendio che pareva spento e invece continuava sotto le ceneri e ora divampa di nuovo: presto brucerà noi e il futuro dei nostri figli.
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