Precarietà e salari da fame. E il cuneo fiscale in Italia si fa più pesante

Cresciuto il carico della tassazione sulle buste paga. L’Italia è quarta tra i Paesi Ocse e 23esima per stipendi.

Precarietà e salari da fame. E il cuneo fiscale in Italia si fa più pesante

Una gragnola di dati negativi sul mercato del lavoro rendono ancora più amaro questo Primo maggio e certificano il flop del governo Meloni. Dopo l’Eurostat che ha certificato che il 9% dei lavoratori full-time è in povertà e l’Istat che ha comunicato che gli stipendi sono a -8% sul 2021, ieri il rapporto della Cgil su precarietà e bassi salari, presentato insieme alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio a dieci anni dal Jobs Act, e i nuovi dati dell’Ocse su cuneo fiscale e stipendi, spengono qualsiasi entusiasmo, checché ne dica Giorgia Meloni.

Tra il 2008 e il 2024 i salari reali medi in Italia sono diminuiti di 9 punti percentuali, mentre in Germania e Francia si è assistito ad un incremento, rispettivamente, del 14% e del 5%, si legge nel report della Cgil. Con la forte diffusione di contratti a tempo determinato e part time – e con la moltiplicazione di centinaia di contratti di lavoro differenziati per categorie specifiche di lavoratori e lavoratrici – la tenuta dei salari, spiega il sindacato, si è indebolita.

La copertura dei contratti di lavoro si è ridotta e si sono moltiplicati i ritardi nei rinnovi dei contratti di categoria, con perdite rilevanti in termini di adeguamenti salariali, specie negli anni di elevata inflazione.

Il 30% degli occupati ha un contratto a termine o part-time: il report della Cgil

Il Jobs Act, spiega la Cgil, ha portato a un indebolimento delle tutele e delle condizioni di lavoro per lavoratori e lavoratrici. I contratti a termine e part time riguardano stabilmente ormai quasi il 30% degli occupati e colpiscono in modo particolare i giovani, le donne e i laureati: la precarietà è diventata un elemento strutturale del lavoro in Italia.

L’aumento del numero di occupati, denuncia il sindacato guidato da Maurizio Landini, si accompagna alla più lenta crescita delle ore lavorate totali, data l’espansione del lavoro part time. La domanda di lavoro si concentra nei settori dei servizi a bassa qualificazione, con un modesto livello tecnologico e bassi salari.

“In termini reali, i salari italiani hanno registrato una caduta senza precedenti. Questi sviluppi hanno contribuito ad aggravare il declino dell’economia italiana, alimentando un circolo vizioso tra lavoro precario, bassi salari, bassa produttività e bassa crescita, portando a un crescente divario nei confronti delle principali economie europee”, sottolinea ancora il sindacato.

Il Jobs Act ha aumentato la precarietà

Osservando l’evoluzione delle attivazioni di nuovi contratti (senza considerare le cessazioni) avendo come punto di partenza l’introduzione del Jobs Act, la Cgil nota una chiara divergenza tra le tipologie contrattuali: a partire dal 2016 si amplia notevolmente il numero di contratti a tempo determinato e parasubordinati (apprendistato, stagionali, somministrazione ed intermittenti).

I valori assoluti “sono impressionanti”: nel 2024 sono stati 3 milioni e 700 mila i contratti a tempo determinato e 3 milioni e 100 mila i contratti parasubordinati. Gran parte dei contratti è quindi per periodi inferiori all’anno, con un’elevatissima frammentazione delle posizioni lavorative.

Con la crisi del 2008 si apre un divario tra occupati totali – prima in calo, poi in aumento – e il numero di ore lavorate, che diminuisce in modo più grave, con un gap che resta costante fino al 2019. Del totale di 18 milioni e 800 mila occupati dipendenti del 2024, 13 milioni e mezzo sono quelli “standard”, a tempo indeterminato e a tempo pieno e 2 milioni e mezzo sono a tempo indeterminato e part time.

Più lavoratori si contendono un numero minore di ore lavorate.

Nel 2024 è cresciuto il cuneo fiscale in Italia che è quarto tra i paesi Ocse

Allarmanti i dati Ocse sul cuneo fiscale in Italia: nel 2024 il cuneo nel nostro Paese è risalito al 47,1 per cento, il livello più elevato dal 2019 e il quarto più alto tra i 38 Paesi Ocse. Quello italiano, è l’aumento più significativo tra i Paesi della zona Ocse.

L’Italia è al quarto posto per ampiezza del cuneo dopo Belgio, Germania e Francia. Questi dati evidenziano il carico fiscale e contributivo che grava sui lavoratori dipendenti italiani e che schiaccia verso il basso le loro buste paga nette.

Non è un caso che il salario al netto della tassazione nella Penisola nel 2024 risulta di 41.438 dollari, contro la media Ocse di 45.123 dollari e pone la Penisola al 23esimo posto tra i 38 Paesi che aderiscono all’organizzazione.

E’ un livello inferiore anche a quello della Spagna (43.034 dollari) e non lontano da quello della Polonia (39.200 dollari) e della Turchia (39mila). Anche i Paesi che hanno un cuneo fiscale più elevato di quello italiano, o su livelli simili, hanno comunque livelli salariali netti più alti.

La Francia è a 48.500 dollari, il Belgio a oltre 52mila, la Germania si avvicina ai 56mila dollari e l’Austria viaggia sui 59mila.