La prima parola è stata “pace”. Tre volte, nello spazio di pochi secondi. “La pace sia con tutti voi”. Non lo slogan vuoto di un protocollo liturgico, ma un programma. Così si è presentato al mondo Leone XIV, primo pontefice americano della storia, eletto nel cuore di un’epoca assetata di guerra, proclamando l’unico verbo che oggi è sistematicamente censurato: quello della pace. È andata male per i guerrafondai, per chi sogna chiese in mimetica e crociate camuffate da esportazione di valori. È andata male per l’America di Donald Trump, per quella destra che odia Papa Francesco perché ricorda che il Vangelo non è un’arma da brandire ma una strada da percorrere. Leone XIV viene da Chicago, ma il suo accento spirituale parla la lingua degli oppressi del Perù, dove ha fatto il vescovo.
È un Papa americano, ma l’America di Trump non potrà reclamarlo come uno dei suoi. Nel primo discorso ha evocato Francesco con rispetto e riconoscenza, ha parlato di un “Dio che ci ama tutti incondizionatamente”, ha chiesto una Chiesa “che cammina, che cerca la pace e la carità, vicina a chi soffre”. Non ha concesso nulla alla retorica dell’identità, né al culto del potere. E ha detto con chiarezza che “il male non prevarrà”. Un messaggio che suona stonato nella Roma sovranista di Giorgia Meloni, dove la solidarietà è un reato e il ponte è solo quello da far saltare quando si tratta di migranti, poveri, ultimi. Leone XIV ha chiesto ponti.
Ha chiesto dialogo. Ha chiesto sinodalità. Parole che per qualcuno suonano come bestemmie. Ha citato Maria di Pompei, la Chiesa missionaria, il bisogno di camminare “mano nella mano con Dio e tra di noi”. In fondo, Leone XIV è la prosecuzione di Francesco con altri mezzi: l’eredità non sta nel gesto, ma nel respiro. E in un’epoca che ci vuole murati, lui si ostina a invocare ponti. Sarà un problema per molti. Per questo è una speranza per tutti. Un Papa che benedice invece di giudicare, che accoglie invece di blindare. Un’eresia per i tempi che corrono.