La Sveglia

Non uccidono solo le bombe, a Gaza si muore pure con le parole

C’è un punto oltre il quale le parole non sono più opinioni, ma prove. Il genocidio non si consuma soltanto con le bombe: si prepara nel linguaggio, si legittima nella propaganda, si giustifica con l’ideologia. È quello che sta accadendo a Gaza. Dove la devastazione non è solo materiale, ma discorsiva. E dove l’intento è dichiarato, pubblicamente, più volte, da più voci.

Il 9 ottobre 2023 il ministro della Difesa Yoav Gallant annuncia un “assedio totale” e definisce i palestinesi “animali umani”. Il presidente Isaac Herzog nega l’esistenza di civili: “un’intera nazione è responsabile”. La deputata Gotliv invoca “missili senza limiti” per “radere al suolo Gaza senza pietà”. Il ministro Eliyahu considera “una delle opzioni” la bomba atomica. Il vicepresidente della Knesset, Nissim Vaturi, scrive: “Gaza deve essere bruciata, cancellata dalla faccia della Terra”.

E ancora: Bezalel Smotrich parla di “due milioni di nazisti”, di “purificazione”, di “distruzione totale”. Netanyahu loda Smotrich e cita Amalek, il popolo biblico da sterminare. L’ex ministro Moshe Feiglin chiede che Gaza venga “distrutta come Dresda e Hiroshima”. Ariel Kallner e Yinon Magal evocano esplicitamente una “seconda Nakba”.

Sono frasi, ma non solo. Sono ordini in potenza, cornici morali, autorizzazioni implicite all’eliminazione di un intero popolo. Perché le parole generano realtà. E la realtà oggi, a Gaza, è una striscia bombardata fino alle fondamenta, privata di acqua, luce, rifugi, umanità.

Gaza è una scena del crimine. Gli intenti sono già tutti scritti. Ed è sotto gli occhi di tutti. La storia li leggerà. E li ricorderà.