Era iniziata come la solita corsa all’innamoramento: un’Italia che si sbraccia per mostrarsi attrattiva, un governo che apre le porte a Starlink e definisce l’azienda di Elon Musk “il soggetto tecnologicamente più avanzato”, salvo poi crollare sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Ora, di quella trattativa restano solo macerie diplomatiche, accuse incrociate e una domanda che pesa come un silenzio strategico: chi ha sabotato l’intesa?
Il 22 maggio, Andrea Stroppa, braccio destro italiano del patron di SpaceX, ha rotto gli indugi: “Starlink è pronta, ma qualcuno blocca tutto”. A sei mesi di distanza dal presunto accordo, Stroppa punta il dito direttamente contro il ministro Urso. Il quale, invece di rispondere nel merito, si rifugia dietro il segreto del Consiglio Supremo di Difesa e insinua che Stroppa parli a sproposito. Il risultato? Un botta e risposta surreale tra un esecutivo che finge stupore e un emissario privato che si comporta da funzionario di Stato.
Starlink e Musk, dal corteggiamento istituzionale al voltafaccia sovranista
Il governo Meloni ci aveva creduto davvero. Almeno all’inizio. Con dichiarazioni pubbliche, incontri riservati e indiscrezioni su un accordo da 1,5 miliardi di euro, l’Italia sembrava pronta a delegare la propria sovranità satellitare a un magnate d’Oltreoceano. La motivazione ufficiale? “Starlink come soluzione ponte”, in attesa di sviluppare una costellazione nazionale. Peccato che la retromarcia sia arrivata insieme alle prime difficoltà politiche, ai dubbi sulla sicurezza e alle risse intestine nella maggioranza.
E qui si palesa la miopia istituzionale: si è scelto di trattare con Musk come se non fosse Musk. Come se non fosse l’uomo che flirta con Trump, twitta in codice e governa aziende come estensioni del proprio ego. Come se le sue aziende non fossero inevitabilmente legate alla sua figura e al suo stile di comunicazione imperscrutabile e incendiario. Fingere che tutto questo non abbia un peso è un’ingenuità che un governo non può permettersi.
Stroppa, Musk e la personalizzazione di una trattativa strategica
In mezzo, Andrea Stroppa. Che da rappresentante tecnico si è trasformato in protagonista politico. Denuncia pubblicamente i veti, attacca Fratelli d’Italia sui social (“evitate di chiamarci per conferenze”), minaccia ritorsioni e accusa la politica italiana di boicottaggio. E dopo essere stato coinvolto, nell’ottobre dell’anno scorso, in un’indagine nell’inchiesta Sogei, viene posto sotto scorta dopo un attacco incendiario contro una concessionaria Tesla. È il cortocircuito perfetto: un negoziato su infrastrutture militari di comunicazione gestito via tweet.
Nel disegno di legge sulla “Space Economy” è arrivata la pietra tombale. L’articolo 25, modificato su spinta delle opposizioni, impone che determinati servizi siano garantiti solo da entità Ue o Nato e introduce criteri stringenti su sicurezza e ritorno industriale. Troppo per Stroppa, che lo legge come una norma “anti-Musk”. Ma se i partiti hanno fatto il loro gioco politico, a cedere per primi sono stati Meloni e i suoi, incapaci di reggere il peso di un’operazione che loro stessi avevano incensato.
Alla fine, la vera questione non è Starlink. È il metodo. È l’idea che si possa governare a colpi di entusiasmo mediatico, firmando intese di fatto senza mai prendersi la responsabilità di portarle a termine. È la tentazione di affidare pezzi di sovranità a imprenditori con agende proprie, salvo poi scandalizzarsi se pretendono di comandare anche la politica.
Nel teatro spaziale, Meloni e Musk si sono usati a vicenda. L’una per inseguire visibilità, l’altro per colonizzare un nuovo mercato. Ma quando si gioca con la tecnologia del futuro come se fosse propaganda da comizio, l’atterraggio non può che essere rovinoso.