Una bomba nucleare come quella sganciata su Hiroshima nel 1945 sprigiona circa 15 chilotoni di TNT. Una bomba convenzionale da 2.000 libbre – la più usata da Israele e Stati Uniti – ha una potenza esplosiva di appena 0,0009 chilotoni. Ma se se ne sganciano 15.000, 25.000, 40.000, il risultato cambia. È questa la provocazione: per produrre devastazione atomica, al netto delle radiazioni, non serve una bomba atomica. Bastano quantità sufficienti, ripetute, tollerate e spesso ignorate. Basta una guerra continua, con le regole piegate e le parole corrette. In vent’anni, Israele e Stati Uniti hanno causato – per tonnellaggio, impatto e vittime – una distruzione paragonabile a dodici Hiroshima. Senza mai usare il nucleare.
Le bombe che non fanno notizia
Negli ultimi due decenni Israele ha impiegato una potenza esplosiva convenzionale pari a 85 chilotoni di TNT: oltre cinque “equivalenti Hiroshima”. Gli Stati Uniti ne hanno impiegati 112: circa sette bombe nucleari per potenza. I teatri sono noti, anche se sempre meno raccontati: Gaza, Libano, Siria per Israele; Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen, Libia, Somalia e Pakistan per Washington.
Non è solo una questione di numeri. È una questione di sguardo. Quando una bomba nucleare esplode, la memoria storica si attiva, il mondo osserva, le diplomazie si muovono. Quando 20.000 bombe da 2.000 libbre piovono su una striscia di terra come Gaza in meno di un anno, con effetti paragonabili, il rischio è che tutto passi come “difesa proporzionata”.
Gli Stati Uniti e la potenza normalizzata
In Afghanistan, la campagna aerea ha impiegato decine di migliaia di bombe in vent’anni. In Iraq, le missioni iniziate nel 2003 sono continuate per anni con una media di oltre 3.000 bombe all’anno. La sola operazione contro l’ISIS in Siria e Iraq – dal 2014 al 2019 – ha impiegato oltre 100.000 munizioni. Nella sola battaglia di Mosul (2017), la potenza esplosiva liberata supera quella di una testata nucleare. La battaglia di Raqqa, descritta da Amnesty International come “la più distruttiva dell’era moderna”, ha causato migliaia di vittime civili, colpite da una raffica di attacchi definiti imprecisi, frettolosi e indiscriminati.
Il Costs of War Project della Brown University stima che le guerre statunitensi post-11 settembre abbiano causato oltre 387.000 morti civili. Ma è una cifra che raramente fa notizia.
Israele: potenza concentrata in un luogo solo
La guerra del 2023–2025 a Gaza ha segnato una svolta. Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, Israele ha sganciato oltre 70.000 tonnellate di esplosivi in meno di 18 mesi: l’equivalente di cinque Hiroshima. Il 69% degli edifici è stato danneggiato o distrutto. Oltre 70.000 morti stimati da fonti indipendenti e confermati dallo studio The Lancet. La Corte Penale Internazionale ha aperto procedimenti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Ma anche prima di questa guerra, Israele aveva già colpito Gaza con operazioni a cadenza quasi regolare: Piombo Fuso (2008-2009), Margine Protettivo (2014), Guardia alle Mura (2021). In tutti i casi, l’uso di bombe da 2.000 libbre – tra le più distruttive – è stato documentato da osservatori internazionali. In molti casi, le bombe sono cadute in aree densamente popolate: scuole, mercati, ospedali.
La forza dell’ipocrisia
Ciò che rende questa contabilità ancora più insopportabile è il doppio standard con cui viene gestita. Mentre Stati Uniti e Israele usano bombe convenzionali per devastare interi territori, spesso con impunità garantita, denunciano la possibilità che un altro Stato – l’Iran – possa un giorno possedere un’arma atomica. Ma un’atomica, da sola, è solo un simbolo. La devastazione vera la si misura sulla pelle dei civili.
Chi teme la bomba degli altri spesso ha già disseminato la propria. Solo che non fa luce. Fa silenzio.