Chi doveva ispirare l’Europa sull’immigrazione oggi si ritrova a bussare, da sola, alle porte dell’Unione. Giorgia Meloni aveva promesso un “modello italiano” capace di arginare i flussi, stabilizzare il Mediterraneo e indicare una via diversa, forte e credibile. Il risultato, due anni dopo l’insediamento, è un isolamento strategico conclamato: nessuno risponde più all’appello italiano, nemmeno i partner più affini. E neppure la Grecia, che pure condivide lo stesso fronte.
Il piano che non c’è
Il Piano Mattei doveva essere l’architrave di un nuovo approccio. Un “ponte per una crescita comune”, un partenariato paritario per togliere le ragioni della migrazione alla radice. In realtà, è rimasto un manifesto senza presa sul reale. I progetti sono pochi, lenti, orientati agli interessi dell’industria italiana più che allo sviluppo locale. E mentre il piano promette risultati al 2050, la crisi esplode nel 2025.
In Libia, la situazione è fuori controllo. Le partenze sono aumentate del 9% solo nei primi cinque mesi dell’anno. Il 93% dei migranti arrivato in Italia via mare parte dalla Libia. L’effetto è noto: più partenze, più vittime, più caos nei centri di accoglienza. Lampedusa è tornata ad affondare sotto migliaia di arrivi, con l’hotspot ridotto a simbolo plastico del collasso sistemico.
La Libia che sfugge di mano
L’altro pilastro della strategia italiana, la cooperazione con la Libia, è crollato. Non solo perché il Paese è diviso tra Tripoli e l’Est di Haftar, ma perché anche l’ultimo tentativo di diplomazia europea è finito in farsa. Il 9 luglio, una delegazione Ue (compreso il ministro degli Interni italiano) è stata dichiarata “persona non grata” a Bengasi. Rimpatriata su ordine di Haftar, senza neppure il tempo di discutere una proposta.
Da tempo Mosca ha intensificato la sua presenza militare nella zona, rafforzando la sua influenza sull’“uomo forte” libico e usando i flussi migratori come strumento ibrido di pressione sull’Europa. L’Italia denuncia, ma non trova sponde. Né a Parigi – dove Macron evita di “gridare al lupo” per non evidenziare i fallimenti francesi in Mali e Niger – né a Washington, ormai più concentrata sul Pacifico che sul Mediterraneo.
Giustizia contro politica
In casa, l’alleanza con la cosiddetta Guardia costiera libica ha subito colpi ben più duri. La magistratura ha smontato l’impalcatura giuridica dei respingimenti delegati: “La Libia non è un porto sicuro”, ha stabilito la Cassazione. I tribunali hanno condannato anche comandanti di navi commerciali per aver riportato migranti in mano alle milizie. L’Italia, nel caso Vos Triton, è stata ritenuta direttamente responsabile di un respingimento “per procura”.
A questo si somma il caso simbolico di Osama “Almasri”, un noto aguzzino di Mitiga che alcune vittime avevano riconosciuto in Italia. È stato rimpatriato dalle autorità italiane. Libero. Nessuna estradizione, nessuna inchiesta. Solo indignazione, internazionale.
L’Unione che non c’è
Mentre Roma e Atene invocano aiuto per gestire l’aumento dei flussi dalla Libia – con la Grecia costretta a sospendere l’esame delle domande d’asilo e a inviare navi militari a Creta – l’Ue resta muta. Il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo, approvato nel 2024, prometteva “solidarietà obbligatoria ma flessibile”. Ma la flessibilità ha ucciso l’obbligo. I Paesi del Nord preferiscono pagare per non accogliere. Il risultato? L’Italia resta da sola a gestire arrivi, accoglienza, detenzione, rimpatri.
La partita geopolitica, intanto, si gioca altrove. L’ultimo documento Nato del 25 giugno non cita nemmeno l’Africa. Come se il fronte Sud fosse un’eco lontana. Nessun riferimento alla crescente presenza russa, alla destabilizzazione libica, ai flussi migratori come arma. Roma è fuori dai radar.
Grecia e Italia, due frontiere abbandonate
La Grecia è lo specchio dell’Italia. Anche lì, arrivi in aumento da Est della Libia, centri al collasso, decisioni drastiche. Anche lì, l’illusione di una gestione condivisa è naufragata. Roma e Atene sollevano l’allarme strategico, ma parlano a un’Europa che non ascolta. Per Bruxelles, Creta è lontana. Come Lampedusa.
Le due capitali avevano sperato che la questione migratoria potesse diventare un dossier condiviso. Invece, si sono ritrovate a elemosinare attenzione e aiuto, senza ottenere nulla. Nemmeno una parola concreta dai vertici Ue. Nemmeno una missione congiunta efficace. Solo l’umiliazione di Bengasi, per tutti.
La fine del modello
Il “modello italiano” si è infranto sui numeri, sulle sentenze, sulla geopolitica. Non ha ridotto i flussi. Li ha solo spostati sulla rotta più pericolosa. Non ha costruito partenariati. Ha finanziato milizie. Non ha ottenuto solidarietà. Ha ricevuto silenzi. La “leadership” italiana sull’immigrazione si è risolta in un isolamento sistemico. L’Italia non detta l’agenda: la subisce.
Quello che doveva essere il fiore all’occhiello della politica estera del governo oggi è un caso di studio di fallimento strategico. Il “ponte per la crescita” è diventato un fossato. L’Italia si scopre sola, vulnerabile, senza alleati né soluzioni. E, ora, senza più nemmeno la forza di fingere che fosse tutto previsto.