Diceva Giorgia Meloni che il premierato sarebbe stato “la madre di tutte le riforme”. Era il pilastro del nuovo patto tra Stato e cittadini, la promessa di stabilità dopo decenni di governi traballanti. Eppure, oggi, la “madre” appare stanca, delegittimata, respinta. Secondo il sondaggio LaPolis-Università di Urbino, pubblicato da la Repubblica, il consenso al premierato è sceso al 45%, segnando il punto più basso da settembre 2023. La riforma simbolo del governo è diventata una riforma di minoranza.
Nata come compromesso dopo l’abbandono dell’idea presidenzialista, la riforma è stata venduta agli italiani con una narrazione semplificata: meno giochi di palazzo, più potere al popolo. Un premier eletto direttamente per cinque anni, affiancato da una maggioranza blindata grazie a un premio elettorale da definire. Ma l’iter legislativo, anziché rassicurare, ha prodotto l’effetto contrario: tra forzature, norme bizantine, “premier di scorta” e deroghe ai limiti di mandato, il testo Casellati è apparso sin da subito come il frutto di una trattativa interna alla maggioranza più che un progetto coerente.
Anche il disegno istituzionale è stato criticato da numerosi costituzionalisti: l’elezione diretta del premier e lo scioglimento delle Camere come automatismo, dicono, alterano l’equilibrio tra i poteri, riducono il Parlamento a una Camera d’approvazione e svuotano il Quirinale del suo ruolo di garanzia. Il risultato è un’architettura sbilanciata, lontana dai modelli europei, che preoccupa anche giuristi non schierati politicamente. L’idea stessa di stabilità rischia di rovesciarsi nel suo opposto: un potere senza contropoteri è fragile, non forte.
La coalizione dell’insofferenza
Le crepe non sono solo tra i banchi dell’opposizione. Anche dentro la maggioranza il patto regge a fatica. Il premierato è stato scambiato con l’autonomia differenziata: Fratelli d’Italia centralizza, la Lega regionalizza. Il risultato è un ossimoro costituzionale che allontana sia i tecnici sia l’opinione pubblica. Non a caso, la Lega – che al sondaggio risulta l’elettorato più favorevole (80%) – ha frenato sull’iter parlamentare non appena è emersa la possibilità che, in caso di crisi, un nuovo premier venga pescato nella stessa coalizione senza passare dalle urne. E Forza Italia si è fatta scudo di figure come Marcello Pera e Gianni Letta per manifestare dubbi mai del tutto sopiti.
Il governo si è affrettato ad approvare la riforma al Senato, ma alla Camera l’iter è impantanato in audizioni critiche. La ministra Casellati ha ammesso che il referendum potrebbe arrivare nel 2027, a fine legislatura. Una dilazione che assomiglia più a una fuga in avanti che a una strategia ponderata. Nel frattempo, i partiti di maggioranza usano la riforma l’uno contro l’altro per alzare la voce su altri fronti: il terzo mandato per i governatori, il presidenzialismo congelato, la legge elettorale mai scritta.
Referendum 2027: il fantasma di Renzi
Intanto, il Paese si è spaccato lungo linee di frattura sempre più nette. Gli elettori della maggioranza restano in larga parte favorevoli. Ma tra i cittadini che si riconoscono nei partiti di opposizione, il rifiuto è crescente. E se Azione e Italia Viva manifestano un sostegno teorico all’elezione diretta del capo del governo, l’adesione alla versione attuale è tutt’altro che compatta.
Sul fondo, aleggia la vera posta in gioco: non il futuro della forma di governo, ma quello di Giorgia Meloni. Che neghi quanto vuole, questo referendum sarà percepito da molti come un voto su di lei. Renzi nel 2016 ha già scritto il copione. Meloni cerca ora di riscriverlo, smarcandosi dalla personalizzazione, ma l’architettura stessa della riforma – che concentra il potere in un solo nome – la inchioda.
Il premierato doveva blindare la stabilità. Per ora ha prodotto incertezza. Doveva rafforzare la democrazia. Ha riaperto le ferite del parlamentarismo tradito. Doveva avvicinare i cittadini. Li ha spaccati. La madre di tutte le riforme rischia di diventare la figlia delle sue stesse contraddizioni. E nelle urne, a decidere, sarà un Paese che non ha mai creduto così poco a questa promessa.