Tra decreti Frankenstein e Matrioska, la strategia del fare e disfare adottata dal governo umilia il Parlamento

Il governo riscrive sempre più spesso i suoi stessi decreti per comprimere il dibattito parlamentare: una china sempre più pericolosa

Tra decreti Frankenstein e Matrioska, la strategia del fare e disfare adottata dal governo umilia il Parlamento

Tra matrioske e minotauri, l’arte di governare si è trasformata in una partita in cui l’arbitro – il Parlamento – non fischia più. A documentare l’ennesima torsione della decretazione d’urgenza è Pagella Politica, che ha analizzato come il governo Meloni stia abusando di tecniche legislative tanto ingegnose quanto pericolose per l’equilibrio democratico.

Il caso più emblematico è la trasformazione del disegno di legge “Sicurezza” in un decreto-legge. Un testo che era già stato approvato alla Camera e bloccato al Senato, e che il governo ha deciso di riscrivere da capo nella forma di decreto per aggirare i tempi. Fare e disfare, appunto. Con il vantaggio procedurale dei 60 giorni per la conversione, ma con un costo istituzionale altissimo: il messaggio è che il Parlamento è un orpello, utile solo quando non intralcia.

Il gioco delle tre carte

Ma non è solo questione di furbizia procedurale. Secondo l’analisi di Pagella Politica, il governo ha fatto ricorso per ben 12 volte nella legislatura alla tecnica del cosiddetto “minotauro”: prendere un decreto-legge, lasciarlo decadere, e infilarne il contenuto dentro un altro decreto in corso di conversione. La legge finale diventa così una matrioska: ciò che era nato come atto autonomo finisce assorbito da un altro, spesso senza nemmeno arrivare al vaglio di entrambe le Camere.

Il Comitato per la legislazione della Camera ha descritto questa pratica come «una delle prassi più controverse» della decretazione d’urgenza. E non si tratta solo di forma: la Corte Costituzionale ha già ammonito che questi “decreti Frankenstein” mettono a rischio la chiarezza normativa e compromettono l’intelligibilità dell’ordinamento. Leggi scritte così sono fatte per non essere comprese, né dai cittadini né dagli operatori del diritto.

Emblematico il caso del decreto sui Paesi “sicuri”, utile a rendere operativi i centri per migranti in Albania. Il testo è decaduto in Senato ed è stato subito riciclato in un altro decreto già in esame alla Camera, dedicato a tutt’altro: i flussi migratori regolari e la lotta al caporalato. Ne è uscito un ibrido normativo che il deputato di Forza Italia Paolo Emilio Russo ha definito “una matrioska”, ammettendo pubblicamente che “poteva andare meglio”. Dichiarazione rara, in un Parlamento ormai ridotto a notaio.

Norme usa e getta

L’intreccio tra velocizzazione e opacità normativa ha raggiunto livelli strutturali. Un altro esempio è il decreto-legge sugli impianti industriali strategici, che è stato inglobato in quello sull’ex Ilva di Taranto. Per giustificare la scelta, la sottosegretaria Fausta Bergamotto ha parlato di “affinità tematica”. Una giustificazione di comodo, perché è il metodo a prevalere sul merito.

Il problema è che queste tecniche comprimono il tempo di discussione parlamentare. Lo ha spiegato con chiarezza il costituzionalista Marco Ruotolo: inserire un decreto in un altro può ridurre “fino ad annullare” i tempi di esame per la seconda Camera. Nel caso del decreto sui Paesi “sicuri”, il tempo disponibile è stato tagliato di 12 giorni. Il Parlamento, che secondo la Costituzione dovrebbe disporre di 60 giorni per la conversione, ne ha avuti molti meno. A perdere, ancora una volta, è la qualità della democrazia.

Una cultura dell’urgenza permanente

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani difende la pratica parlando di “scelte necessarie”. Ma la necessità non può diventare la regola. Quando ogni urgenza è trattata come emergenza, la Costituzione finisce schiacciata. Il governo ha ormai istituzionalizzato il monocameralismo alternato: un ramo discute, l’altro ratifica. L’effetto è che solo una parte del Parlamento può modificare i testi, mentre l’altra si limita a prenderne atto. Eppure non era questo il disegno dei costituenti.

A preoccupare è anche il segnale culturale: il potere esecutivo non si limita più a governare, ma ridisegna i confini della propria legittimità. Quando un governo riscrive i suoi stessi decreti pur di evitare ostacoli, non sta solo forzando la prassi sta riscrivendo, di fatto, le regole.

Come nota Pagella Politica, non è la prima volta che succede. Ma è la frequenza, oggi, a segnare la differenza. A forza di fare e disfare, questo governo rischia di sfilacciare la tela costituzionale. Il punto non è la furbizia, ma l’idea di potere che la guida: un potere che non sopporta limiti, che si reinventa all’infinito, come un decreto trasformato in decreto. E che intanto lascia al Parlamento solo l’illusione di contare.