Il Tribunale civile di Agrigento ha sospeso ieri il fermo amministrativo della nave Aurora di Sea-Watch, bloccata da 18 giorni nel porto nonostante avesse salvato 70 persone in mare. È l’ennesima decisione che, nel silenzio istituzionale, disinnesca una delle misure simbolo del governo: il blocco amministrativo delle navi Ong. La motivazione, semplice quanto devastante per l’impianto normativo dell’esecutivo, è che il comandante della nave “ha rispettato il diritto internazionale, adempiendo al dovere di portare in salvo i naufraghi”.
Dal gennaio 2023 al 5 agosto 2025, le autorità italiane hanno imposto almeno 26 fermi amministrativi a navi umanitarie per presunte violazioni del decreto. Ma l’uso reiterato dello strumento si sta scontrando, con crescente regolarità, con la giurisprudenza civile italiana. Ad oggi, almeno cinque provvedimenti (Sea-Watch 5, Aurora, Sea-Eye 4, Humanity 1 e una nave a Reggio Calabria) sono stati sospesi o annullati dai tribunali ordinari. Le motivazioni convergono: automatismo sanzionatorio incostituzionale, violazione degli obblighi internazionali di soccorso, ordini di autorità straniere giudicati illegittimi.
Un decreto formalmente in vigore, ma svuotato
Il decreto-legge n. 1/2023, convertito nella legge n. 15/2023, ha imposto restrizioni severe alle operazioni Sar delle Ong, vietando i salvataggi multipli, obbligando a seguire gli ordini anche della Guardia costiera libica e prevedendo fermi amministrativi fino a 60 giorni. L’obiettivo: disincentivare le partenze. Il risultato, però, è stato diverso.
La sentenza n. 101/2025 della Corte Costituzionale ha confermato la legittimità formale del decreto, ma ne ha imposto un’interpretazione vincolante: le navi sono obbligate a obbedire solo a ordini “legalmente dati e conformi alla disciplina internazionale”. Di fatto, la Consulta ha blindato il diritto di soccorso e reso inapplicabile ogni misura fondata su ordini libici o su violazioni non documentate in modo rigoroso.
I tribunali civili hanno recepito questa impostazione. A Reggio Calabria, il fermo della Sea-Eye 4 è stato annullato per “insufficienza probatoria” e per l’inattendibilità dei rapporti libici. A Crotone, il giudice ha dichiarato che l’unica nave a soccorrere in conformità al diritto era proprio quella fermata dallo Stato. E a Salerno, nel caso della Geo Barents, il tribunale ha sospeso il fermo per “pericolo irreparabile” alla funzione umanitaria della nave.
La contabilità degli ostacoli e dei danni
Il governo continua a difendere i fermi come strumento “necessario” al controllo dei flussi. Ma il bilancio operativo, giuridico ed economico è opposto. Le Ong denunciano costi insostenibili: Sos Mediterranée ha speso 1,3 milioni di euro in carburante aggiuntivo per raggiungere porti lontani, Emergency stima 938mila euro di spese evitabili, e solo per la Humanity 1 lo Stato ha dovuto rimborsare oltre 14mila euro per spese legali.
Secondo le stime consolidate nei dossier delle organizzazioni, i costi pubblici generati da questi procedimenti superano i 100mila euro in parcelle e costi processuali. Se si sommano i giorni in cui le navi sono rimaste bloccate, i viaggi forzati e le missioni saltate, la cifra reale sfiora i 2,2 milioni di euro. Una strategia inefficiente, costosa e giuridicamente instabile.
Ma il tributo più alto resta quello umano: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, tra il 2023 e il 2024 almeno 4.225 persone sono morte nel Mediterraneo centrale. Molte in giorni e settimane in cui le navi umanitarie erano ferme in porto o deviate verso destinazioni lontane. Il soccorso mancato, o ritardato, ha un costo che nessuna cifra può risarcire.
Una guerra giudiziaria che il governo sta perdendo
Ma le sentenze parlano chiaro. Il principio sancito dalla Consulta è semplice: l’ordine amministrativo non può prevalere sul dovere di salvare vite. E la sua inosservanza non è sanzionabile. Il fermo, così concepito, è illegittimo.
Il decreto del governo, formalmente in vigore, è di fatto una norma svuotata. Ogni tentativo di applicarlo incontra la resistenza di giudici civili e Corte Costituzionale. Resta una norma di propaganda, inefficace nei risultati, screditata nei tribunali, devastante nei costi e nelle conseguenze. È il paradosso di una legge pensata per impedire il soccorso, che ha finito per certificare – sentenza dopo sentenza – la legittimità e l’urgenza di chi soccorre. Il Mediterraneo resta il mare più mortale del mondo. Ma non è il diritto a mancare. È la volontà politica.