lavori in corso

Sui dazi il governo si svegli o diventeremo irrilevanti

Con i dazi, l’Italia rischia non solo di perdere posizioni sui mercati globali ma anche di compromettere la sua coesione sociale.

Sui dazi il governo si svegli o diventeremo irrilevanti

Da ieri, dopo una bagarre durata mesi, sono ufficialmente scattati i dazi americani. Novantadue i Paesi coinvolti, con aliquote differenziate. La partita sembra non essere ancora finita, visto che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha minacciato l’Unione europea di alzare le tariffe dall’attuale 15% al 35% se non investirà negli Usa i 600 miliardi di dollari promessi a Turnberry. In tale contesto l’Italia, guidata da un governo che si aspettava un trattamento di favore dal tycoon – salvo poi scoprire che con un tipo del genere non bastano photo opportunity né l’acquisto di gas e armi a carissimo prezzo – si ritrova priva di risposte strategiche.

Non c’è un piano industriale credibile, non si vedono investimenti seri nella formazione e nell’innovazione o per il rafforzamento delle filiere produttive interne. Eppure, era tutto chiaro da tempo. Secondo le analisi del centro studi di Conflavoro, i settori maggiormente colpiti dagli effetti dei dazi saranno la meccanica (10,8 miliardi di euro di impatto), l’agroalimentare (7,8 miliardi), la moda (5 miliardi), l’arredamento (1,6 miliardi) e la tecnologia (1,3 miliardi). Comparti ad alta intensità di manodopera, spesso radicati in distretti produttivi già messi a dura prova dalla globalizzazione e dalle trasformazioni tecnologiche. L’aumento dei costi di esportazione comporterà, soprattutto per le piccole e medie imprese, una riduzione della competitività sui mercati esteri, con conseguente rallentamento della produzione e del Pil (-0,5% nel 2026 per stessa ammissione del ministro dell’Economia Giorgetti) e rischi concreti per l’occupazione.

Per la Svimez, quasi 104mila lavoratori potrebbero perdere il posto; per Confindustria il loro numero è maggiore: 118mila. Sempre secondo l’Associazione presieduta da Adriano Giannola, le province di Milano, Torino, Vicenza, Bologna, Firenze, Modena e Genova sono quelle che potrebbero pagare il costo più alto. Davanti a ciò, la totale assenza di visione può spingere l’Italia in una spirale discendente. Non sapere chiaramente dove portare il Paese nei prossimi dieci o vent’anni non è solo un problema economico, ma il chiaro segnale di un esecutivo che invece di guidare il cambiamento sembra subirlo. Se non si interviene ad horas con una politica industriale seria e un piano per il lavoro che tenga conto della transizione economica in corso, l’Italia rischia non solo di perdere posizioni sui mercati globali ma anche di compromettere la sua coesione sociale. I dazi sono solo un sintomo di una malattia chiamata irrilevanza.