Regionali al buio, partita la corsa alle elezioni spezzatini: i candidati consiglieri fanno campagna, ma non sanno per chi

Gazebo e santini senza regia: date a macchia di leopardo, presidenti ignoti e campagne sospese tra Veneto, Campania e Puglia

Regionali al buio, partita la corsa alle elezioni spezzatini: i candidati consiglieri fanno campagna, ma non sanno per chi

È partita la corsa più surreale dell’anno: gazebo, santini e dirette social dei futuri consiglieri regionali, mentre in mezza Italia mancano ancora date certe e candidati presidente. Nei mercati e nelle piazze si moltiplicano volti e promesse; la domanda che rimbalza ai banchetti è semplice e spietata: «Ma per chi sto facendo campagna?». Oggi le agende realmente fissate sono poche: Valle d’Aosta al voto domenica 28 settembre; Marche in cabina domenica 28 e lunedì 29 settembre; Toscana domenica 12 e lunedì 13 ottobre, con deposito liste entro il 12 settembre. A fare da comprimaria, la Calabria anticipata al 5–6 ottobre. Il resto è ancora un orizzonte di ipotesi.   

Tre certezze (e un’ultima ora)

In Valle d’Aosta il decreto è in bollettino e le macchine elettorali sono già in stampa; qui il presidente viene scelto dal Consiglio regionale dopo il voto, non direttamente. Nelle stesse ore arriva una novità sostanziale: la legge elettorale appena promulgata introduce fino a tre preferenze (con vincolo di genere), in vigore da domani per il voto del 28 settembre. È un dettaglio tecnico che racconta un clima opposto al resto del Paese: regole chiare, tempi definiti.

Nelle Marche il quadro è lineare: il presidente uscente Francesco Acquaroli cerca il bis e sfida Matteo Ricci, con la campagna già nel vivo. In Toscana Eugenio Giani ha firmato il decreto e, il 18 agosto, ha chiuso con il M5S un patto scritto: si vota il 12–13 ottobre e le scadenze sono scolpite. Due cornici nitide in un panorama che altrove resta sfuocato.

Poi c’è la Calabria, compressa dai tempi: l’anticipo al primo weekend di ottobre, conseguenza delle dimissioni del governatore Roberto Occhiuto, costringe alleanze e liste a una rincorsa in pieno settembre. 

Veneto, Campania, Puglia: partite senza fischio d’inizio

Il Veneto è la cartina di tornasole. Il “dopo-Zaia” ha aperto un braccio di ferro nel centrodestra: la Lega rivendica la continuità, Fratelli d’Italia la leadership. Tra i nomi che circolano compaiono Luca De Carlo, Elena Donazzan e Flavio Tosi; il centrosinistra ha già investito Giovanni Manildo. Il Consiglio di Stato ha fissato il paletto: si deve votare entro il 20 novembre. La data non c’è, e la sola ipotesi di una lista personale dell’ex presidente aleggia come variabile destabilizzante della coalizione.

In Campania lo stallo è strutturale. La strada del terzo mandato è stata chiusa dalla Consulta; nel campo progressista prende quota l’ipotesi Roberto Fico, mentre a destra rimbalzano i nomi di Edmondo Cirielli e profili “tecnici”. Sulle date, la finestra del 16–17 novembre riappare a ondate, ma senza un decreto restano solo indiscrezioni.

In Puglia la trama riguarda l’architettura delle alleanze: l’asse DecaroConte si costruisce tra diffidenze e veti incrociati; il centrodestra prova un profilo civico-industriale e testa più nomi. L’uscente Michele Emiliano, non ricandidabile, pesa comunque sugli equilibri con l’ipotesi di una discesa al Consiglio. Anche qui, senza decreto, la campagna resta sospesa.  

Lo spezzatino che fa comodo

Niente election day: si voterà a macchia di leopardo, in weekend diversi. La prima conseguenza è mediatica: il voto sparso impedisce una lettura nazionale, spezza il giudizio e attenua l’onda d’urto di eventuali sconfitte. La seconda è logistica: raccolte firme, stampe e depositi scivolano su calendari mobili, con costi e incertezze a cascata per liste e comitati. La terza è politica: coalizioni e programmi restano in stand-by finché non si scioglie il nodo dei nomi. È l’effetto pratico dello “spezzatino” d’autunno. 

C’è anche un risvolto regolatorio: dalla convocazione dei comizi scattano i divieti di comunicazione istituzionale per le amministrazioni, mentre la propaganda “privata” dei candidati può correre. Risultato: gli uscenti dosano le apparizioni, gli aspiranti consiglieri presidiano il territorio con un «branding personale» spesso slegato da un programma di coalizione. Sono i «candidati fantasma»: facce, promesse e hashtag senza un presidente a cui legarsi, monologhi senza copione che popolano feed e rotatorie.

Effetto midterm diluito 

Sul fondo, la lettura più scomoda: frammentare il calendario diluisce l’effetto di midterm e consente di “gestire” i risultati regione per regione. È una scelta che privilegia la convenienza politica rispetto alla chiarezza del confronto pubblico e ai risparmi dell’accorpamento. L’autunno a macchia di leopardo non è un disguido organizzativo: è il perimetro in cui si chiede agli elettori di decidere con informazioni incomplete e ai candidati di fare campagna senza sapere per chi. 

La domanda che rimbalza ai banchetti non è uno slogan, è un sintomo: «Ma per chi sto facendo campagna?» Finché decreti e nomi resteranno nel limbo, la risposta sarà quella che si sente sussurrare sotto i gazebo: per nessuno. Con un costo evidente – settimane sottratte al merito, alla trasparenza sulle alleanze, alla verifica dei programmi – e un vantaggio altrettanto evidente per chi tiene in mano il metronomo del voto.