Sgomberato il centro sociale Leoncavallo (all’insaputa di Sala): primo atto del centrodestra per la campagna elettorale a Milano

Sgombero a sorpresa del centro sociale Leoncavallo. Palazzo Marino neppure avvertito. Gioisce la destra, anche se Salvini lo difendeva

Sgomberato il centro sociale Leoncavallo (all’insaputa di Sala): primo atto del centrodestra per la campagna elettorale a Milano

La campagna elettorale per il nuovo sindaco di Milano ha avuto il suo inizio. Il primo atto formale è stato ieri, con lo sgombero a sorpresa (di tutti, a partire da Beppe Sala) dello storico centro sociale Leoncavallo di via Watteau.

Una decisione arrivata dai piani altissimi, cioè dal Viminale, che ha così lanciato una bomba nella complicata situazione politica della città, dove una giunta lacerata dall’inchiesta sull’urbanistica a settembre sarà chiamata ad affrontare le sue contraddizioni.

La regolarizzazione era a un passo

Un’azione, quella del ministero dell’Interno, guidato da Matteo Piantedosi, che ha colto di sorpresa palazzo Marino, impegnato da tempo in un progetto di regolarizzazione del centro sociale, che si sarebbe potuta raggiungere prima del termine stabilito per lo sgombero, il 9 settembre, e che avrebbe salvaguardato gli interessi di tutti, senza cancellare un’esperienza importante come quella del centro sociale.

Lo sgombero del centro sociale, dal 1994, era stato rinviato un centinaio di volte e lo scorso novembre il ministero dell’Interno era stato condannato a risarcire 3 milioni ai Cabassi, proprietari dell’area, proprio per il mancato sgombero. Nei mesi scorsi l’associazione Mamme del Leoncavallo aveva presentato una manifestazione d’interesse al Comune per un immobile in via San Dionigi per spostare il centro sociale dall’attuale spazio. Così da salvare 50 anni di storia: dall’attività culturale, all’asilo sociale autogestito, dai corsi di italiano per stranieri, al laboratorio di serigrafia, dalla cucina popolare che ha garantito i pasti anche a chi non poteva dare un contributo, fino ai murales storici riconosciuti come patrimonio artistico dalla soprintendenza.

Uno schiaffo a Sala e a Milano

Invece no. Il Viminale ha agito. Un vero e proprio schiaffo a Sala e a Milano. Reso ancora più sonoro dal fatto che mercoledì si era riunito in prefettura il Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, durante il quale non si sarebbe fatta parola dello sgombero imminente. Un dettaglio che l’azione – eclatante – sembra avere poco a che fare con la sicurezza. C’entra invece, probabilmente, con la lotta politica (non a caso mercoledì Matteo Salvini in visita proprio a Milano avesse parlato di sicurezza e di elezioni anticipate, coincidenze…).

Sala: “Il Leoncavallo deve continuare a fare cultura”

Immediata quanto comprensibile quindi la reazione della città. Il Leoncavallo “deve continuare ad emettere cultura, chiaramente in un contesto di legalità”, ha detto Sala, che ha confermato “la volontà di mantenere aperta l’interlocuzione con i responsabili delle attività del centro sociale”.

“L’intervento sul Leoncavallo era sì previsto, ma per il 9 settembre”, ricorda il primo cittadino, “In considerazione di questa timeline ufficiale, come Comune avevamo continuato, con i responsabili del Leoncavallo, un confronto che portasse alla piena legalità tutta l’iniziativa del centro. Si stavano valutando varie soluzioni a norma di legge, che potessero andare nel senso auspicato. Sono convinto, e l’ho già dichiarato in precedenza, che il Leoncavallo rivesta un valore storico e sociale nella nostra città”.

Quando Salvini difendeva il centro sociale…

E, mentre la destra esulta, ci pensa l’M5s Alessandra Maiorino a ricordare i tempi nei quali Salvini difendeva il Leonka: “Trent’anni fa, appena eletto consigliere comunale a Milano, l’attuale vicepremier difendeva a spada tratta i ragazzi del Leoncavallo, da lui frequentato in gioventù. Fa specie quindi vederlo in prima fila oggi a gioire per lo sgombero di un luogo di aggregazione ormai entrato a far parte del tessuto sociale del capoluogo lombardo. Un’abiura totale alla sua storia personale”.

“Ancora una volta, ci troviamo di fronte all’ennesimo artificio propagandistico del governo: una ‘polpetta’ demagogica data in pasto a stampa e cittadini per celare i deficit palesi e inaccettabili del team di Meloni in tema di sicurezza”, aggiunge Maiorino.

Cristina Tajani: “Una bandierina propagandistica”

“Viene da domandarsi se la premier Meloni e il vice premier Salvini con il ministro Piantedosi non avessero cose più importanti di cui occuparsi, tra dazi, guerre e carovita, che ordinare e rivendicare lo sgombero agostano di uno spazio già avviato a una soluzione negoziale grazie a una lunga mediazione del comune di Milano”, scrive su Facebook la senatrice dem Cristina Tajani, “Ma questo sanno fare: agitare bandierine facili da conquistare da dare in pasto alla macchina della propaganda quotidiana. Una destra piccola-piccola attaccata ai tic e alle parole d’ordine del passato. Leoncavallo”.

La prima risposta a Piantedosi è fissata per il 6 settembre, quando è convocata una manifestazione nazionale. Intanto si attende lo sgombero di CasaPound a Roma…