ll 12 settembre a Ginevra tre collettivi guidati da rifugiati – Refugees in Libya, Refugees in Tunisia e Refugees in Niger – hanno presentato davanti alla sede centrale dell’Unhcr un volume che segna un punto di svolta: Book of Shame: How Unhcr Fails to Protect Refugees in Libya, Tunisia and Niger (Vol. 1, 2025). È la prima pubblicazione scritta e compilata interamente da rifugiati. Non un rapporto di Ong, ma un atto politico e un documento di resistenza che accusa l’Agenzia delle Nazioni Unite di aver abdicato al suo mandato, diventando strumento di contenimento delle politiche europee.
Le accuse: protezione negata e complicità nel contenimento
Il volume raccoglie testimonianze dirette dal 2024 al settembre 2025: dai centri di detenzione libici ai campi desertici di Agadez in Niger, fino ai presidi di protesta in Tunisia. I contributi denunciano violenze sistematiche, corruzione negli uffici, criteri arbitrari di vulnerabilità e una protezione che arriva solo “quando la morte è già ineludibile”.
Secondo David Yambio, rifugiato sudsudanese e fondatore del movimento Refugees in Libya, «Unhcr non ha mai agito per la libertà. Ha visto le torture, i corpi bruciati, le donne stuprate, i bambini lasciati morire. Ha distribuito coperte e biscotti, ma ha lasciato intatte le sbarre e armati i carcerieri».
Il “Libro della vergogna” documenta la trasformazione dell’Unhcr in quello che i rifugiati chiamano “Unfair – The UN Refusal Agency”: un’istituzione che decide chi vive e chi muore, chi viene evacuato e chi resta prigioniero, seguendo la logica della gestione dei flussi per conto dell’Europa.
Dalla protesta di Tripoli al manifesto collettivo
Il libro nasce dall’esperienza del sit-in di cento giorni davanti alla sede Unhcr di Tripoli nel 2021-2022, quando migliaia di rifugiati furono sgomberati e deportati nei centri di detenzione con la complicità delle milizie. Tre anni dopo, poco è cambiato: i movimenti guidati da rifugiati vengono ancora trattati come minacce, le manifestazioni represse, le voci ridotte al silenzio.
Le pagine raccontano storie precise: Shoaib, 16 anni, morto di abbandono a Tripoli nel 2021; suo fratello Yasin sopravvissuto solo grazie alla determinazione dei compagni; i bambini nati senza cittadinanza nei campi di Agadez, condannati a un futuro senza scuola né sanità; le proteste represse a Tunisi con la cooperazione dell’Unhcr. La denuncia è chiara: l’Agenzia, invece di garantire protezione, ha contribuito a “esternalizzare” le frontiere europee, sostenendo campi e sistemi che trasformano rifugiati e migranti in corpi da contenere.
Il volume si chiude con un manifesto collettivo dei movimenti di Libia, Tunisia e Niger, che rivendicano il diritto a parlare con la propria voce: «Non scriviamo per chiedere carità. Non scriviamo come vittime da salvare. Scriviamo come comunità che si organizzano, che resistono, che hanno osato nominare la macchina dell’abbandono».
L’atto politico e il futuro delle lotte
La presentazione di Ginevra è stata accompagnata dall’annuncio di una manifestazione fatta il 13 settembre davanti alla sede dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. I promotori sottolineano che questa non è un’operazione di advocacy classica: è la costruzione di un archivio di testimonianze per impedire che la sofferenza venga cancellata dalle statistiche. «Il testimone deve parlare» scrive Yambio, e il libro – curato da un collettivo di rifugiati, attivisti e ricercatori – è pensato come un atto d’accusa pubblico contro un sistema che, con il linguaggio della protezione, pratica invece la regolazione e il contenimento.
La forza del “Libro della vergogna” vuole essere nel ribaltare la prospettiva: non sono Ong occidentali o istituzioni a scrivere dei rifugiati, sono i rifugiati stessi a redigere il catalogo delle omissioni e delle complicità. Ne esce un quadro in cui l’Unhcr, in Libia come in Tunisia e Niger, appare più attento a non disturbare governi e donatori che a salvare vite umane. «Unhcr ha fallito me» si legge in una delle testimonianze, frase che diventa sintesi di un’esperienza collettiva.
Con questa iniziativa, i rifugiati dimostrano di non voler più essere relegati al ruolo di destinatari passivi di aiuti. La scelta di presentare il libro davanti alla sede centrale dell’Unhcr a Ginevra rende la denuncia ancora più diretta: il messaggio è rivolto non solo all’agenzia, ma anche ai governi europei che finanziano e sostengono la politica di esternalizzazione. Ma mentre i rifugiati hanno portato le loro denunce davanti alla sede centrale, l’Unhcr a oggi non ha rilasciato dichiarazioni pubbliche sul contenuto del libro né sulle accuse. Nei giorni successivi l’Agenzia ha diffuso comunicati su altre emergenze, dall’Afghanistan alle vie di ingresso regolari, senza alcun riferimento al “Libro della vergogna” e alle proteste di Ginevra. Una scelta che i movimenti leggono come ulteriore conferma del silenzio istituzionale che intendono spezzare.