Mentre il governo, dopo l’omicidio dell’attivista conservatore americano Charlie Kirk, si è mostrato solerte nel denunciare un supposto “clima insostenibile”, si è invece distinto per un silenzio assordante davanti a un altro gravissimo episodio di violenza: l’aggressione subita martedì a Prato da un gruppo di lavoratori, in sciopero al fine di ottenere condizioni di lavoro regolari. Un’aggressione avvenuta alla luce del sole, documentata, brutale. Eppure, ignorata. Tale episodio non è una rissa tra bande né un caso isolato: è il sintomo di un clima sempre più intollerante verso chi rivendica i propri diritti, in particolare nei settori più fragili del mercato del lavoro. Parliamo di operai, per lo più migranti (afghani, pakistani, bengalesi), sfruttati da anni nei distretti tessili, che hanno “osato” alzare la testa.
Per tutta risposta, hanno ricevuto calci, pugni, insulti e minacce. Il loro gazebo è stato distrutto. Non da parte di sconosciuti, ma dalla proprietà dell’azienda e da soggetti a essa vicini, in un contesto che gronda impunità e disprezzo per le regole. Un episodio simile era già successo a ottobre 2024, quando a Seano, sempre nel Pratese, cinque persone a volto coperto aggredirono con mazze di ferro due lavoratori pakistani e due sindacalisti che denunciavano lo sfruttamento nelle industrie tessili della zona. Come detto, il governo non ha rilasciato nessuna dichiarazione di condanna. Nulla di nulla. Un atteggiamento che appare quindi come una scelta deliberata, ma che al contempo rischia di legittimare un messaggio: che i diritti sindacali, costituzionalmente garantiti, possono essere calpestati senza conseguenze.
O finanche limitati per legge, come nel caso del decreto Sicurezza le cui prime vittime – non a caso – sono stati dei lavoratori: gli operai metalmeccanici che il 20 giugno scorso, a Bologna, hanno ricevuto una denuncia per blocco stradale mentre manifestavano per chiedere il rinnovo del contratto, scaduto da un anno. Insomma, siamo davanti a un singolare paradosso: coloro che alzano i toni contro la “sinistra violenta” si girano dall’altra parte quando la violenza colpisce chi lotta per una paga giusta e condizioni dignitose. Dove sono, in questo caso, gli inviti alla civiltà, al rispetto reciproco, alla legalità? La condanna della violenza non può essere selettiva: deve valere sempre e comunque per tutti. La democrazia si misura anche da questi dettagli: dalla capacità di uno Stato di difendere quei cittadini che non hanno potere, che protestano pacificamente, che chiedono diritti e non privilegi.