Quaranta cittadini italiani – tra cui parlamentari, amministratori locali, attivisti e giornalisti – risultano tra le circa 400 persone fermate dalla Marina israeliana a bordo della Global Sumud Flotilla. Lo ha confermato in Aula il ministro degli Esteri Antonio Tajani, spiegando che i rimpatri avverranno tra il 6 e il 7 ottobre con voli charter da Tel Aviv, con destinazioni che potrebbero essere Madrid o Londra in base agli accordi con gli organizzatori. Dopo l’approdo ad Ashdod, i fermati sono stati trasferiti nel carcere di Beer Sheva, in attesa di firmare le dichiarazioni necessarie per l’espulsione collettiva. L’ambasciata italiana ha avviato le prime visite consolari, con particolare attenzione ai casi più delicati.
Secondo fonti legali, per accelerare il ritorno ogni passeggero dovrà firmare un documento di “ingresso illegale” nello Stato di Israele. Una formula controversa, che scarica sugli attivisti la responsabilità della loro stessa detenzione e che molti si rifiutano di accettare. La procedura rischia così di allungare i tempi e di trasformare il rientro in un braccio di ferro burocratico e politico.
Rimpatri e condizioni di detenzione
Nell’elenco figurano esponenti noti come Arturo Scotto e Annalisa Corrado del Pd, Marco Croatti del M5S e Benedetta Scuderi di Avs. Proprio la detenzione della parlamentare europea ha alimentato la protesta politica: Angelo Bonelli ha parlato di «sequestro illegale» e ha annunciato manifestazioni a Roma per chiederne la liberazione. Dal territorio arrivano richieste analoghe: il sindaco di Bari Vito Leccese ha scritto alla Farnesina per avere notizie di tre concittadini, mentre da Bologna l’Ucoii sollecita la scarcerazione di Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle comunità islamiche, fermato insieme a due connazionali.
Tajani ha ribadito che la priorità è «un trattamento non violento» dei connazionali e che i carichi umanitari saranno consegnati a Gaza tramite canali ufficiali. Ha ricordato inoltre che diversi governi considerano il blocco navale israeliano legittimo come misura di sicurezza, posizione contestata da giuristi e associazioni umanitarie. Anche per questo, la questione della consegna degli aiuti è diventata centrale: senza trasparenza sulla loro destinazione, la missione rischia di essere svuotata proprio nel suo scopo dichiarato.
Il fronte politico e le piazze
La vicenda è diventata terreno di scontro interno. In Parlamento la maggioranza ha approvato una risoluzione che lega il riconoscimento dello Stato di Palestina alla resa di Hamas, mentre le opposizioni hanno chiesto garanzie sul rispetto dei diritti fondamentali degli italiani fermati. Fratelli d’Italia ha liquidato la missione come «distrazione mediatica», mentre Pd, M5S e Avs insistono sul carattere umanitario della Flotilla.
Intanto in piazza cresce la mobilitazione. A Roma migliaia di persone hanno partecipato a un presidio al Colosseo, a Napoli studenti e attivisti hanno manifestato in piazza del Carmine, a Firenze si sono mossi cortei studenteschi e sindacali. Le immagini raccontano un Paese che si divide tra chi chiede il rilascio degli attivisti e chi li descrive come avventurieri. Sindacati e associazioni hanno annunciato uno sciopero generale in solidarietà, mentre la Federazione nazionale della stampa ha denunciato le pressioni sui giornalisti trattenuti e il sequestro dei loro dispositivi digitali, definendolo un attacco diretto alla libertà di informazione.