Ieri sono atterrati gli ultimi italiani della Flotilla. Li aspettano gli abbracci e le procure: cominciano a piovere gli esposti, annunciati da Arturo Scotto che mercoledì porterà le carte in Procura a Roma per i trattamenti subiti. Yassine Lafram parla di «umiliazioni, violenze, disumanizzazione», mentre i legali già depositato diffide. Quelle voci raccontano un’unghia di ciò che i palestinesi subiscono ogni giorno. E ricordano che Israele ha scelto la violenza come linguaggio politico, l’arbitrio come legge e la disumanità come metodo.
Uno Stato che si dice democratico mentre incarcera attivisti pacifici ed esercita una guerra permanente su scuole e ospedali – denunciano le agenzie internazionali – non lo è. L’Italia che resta ai suoi piedi, con la diplomazia degli inchini, e un’Unione europea rifugiata nelle iniziative simboliche, trattengono la stessa vergogna.
Nel frattempo la destra nostrana rispolvera la tiritera provinciale: mettere a confronto le piazze per Gaza e quelle per l’Ucraina. Fingono di non vedere la differenza tra uno Stato invaso, aiutato dall’Occidente, e un popolo senza Stato schiacciato dall’indifferenza e dal piombo.
A Gaza, nelle ultime ore, nuove stragi colpiscono scuole e campi profughi nel cuore della Striscia. A Sharm el-Sheikh ripartono colloqui che odorano d’inganno: il “piano di pace” in lavorazione, benedetto dagli amici di Trump e da Netanyahu, punta a legalizzare l’occupazione e a chiamarla fine del conflitto. La pace, quella vera, resta prigioniera: noi no.
Intanto Israele prova a riscrivere i fatti come “provocazione”. Ma la verità cammina con i corpi che tornano e con piazze piene: non si archivia mai, si insiste.