Salis salva per un voto: il Parlamento Ue conferma l’immunità. E la destra si spacca: Salvini grida al tradimento

L’Eurocamera conferma l’immunità a Ilaria Salis con 306 voti contro 305. Popolari divisi, il centrodestra italiano in crisi di coerenza

Salis salva per un voto: il Parlamento Ue conferma l’immunità. E la destra si spacca: Salvini grida al tradimento

È bastato un solo voto per decidere il destino politico e giudiziario di Ilaria Salis. Con 306 voti a favore, 305 contrari e 17 astensioni, il Parlamento europeo ha confermato la sua immunità, respingendo la richiesta di revoca presentata dalle autorità ungheresi. Un verdetto ottenuto a scrutinio segreto che ha spaccato i popolari europei e innescato una tempesta politica nella destra italiana.

Alla vigilia, il capogruppo del Ppe Manfred Weber aveva ribadito che «le regole sono chiarissime» e che, poiché i reati contestati a Salis sarebbero precedenti al mandato, «è giusto revocare l’immunità». Il messaggio era netto: linea giuridica, non politica. Ma l’esito della plenaria ha ribaltato le previsioni. Una parte del Ppe, in dissenso, ha scelto di non seguire la consegna di gruppo.

Il co-presidente dei Verdi Bas Eickhout lo aveva previsto: «Sarà un voto serrato e imprevedibile. Tutto dipenderà dalle delegazioni di Ppe ed Ecr». La spaccatura si è aperta puntualmente. Mentre i conservatori di Ecr, con l’italiano Procaccini di Fratelli d’Italia, chiedevano di togliere la protezione perché «chi crede nello Stato di diritto vota contro l’immunità», il voto segreto ha consegnato un esito opposto. Quando la presidente d’Aula ha annunciato il risultato, Salis ha ricevuto fiori e abbracci dai banchi di sinistra. Nelle file del centrodestra, invece, si è scatenata la caccia al “colpevole”.

Popolari spaccati, Salvini parla di “vergogna”

Da Roma, Matteo Salvini ha reagito in diretta: «Con il trucchetto del voto segreto, qualcuno che si dice di centrodestra ha salvato la Salis. Vergogna». Solo poche ore prima, aveva espresso la speranza che «nessuno tradisse nel centrodestra europeo». Ma i numeri del voto mostrano che il blocco conservatore non è monolitico, e che nel Ppe diversi deputati hanno scelto in autonomia.

La destra italiana aveva fatto del caso Salis un test politico, accodandosi alla linea di Budapest. Ma il Parlamento europeo ha confermato la decisione già assunta dalla Commissione giuridica (JURI), che aveva segnalato il rischio di fumus persecutionis nel procedimento ungherese: l’ipotesi di un’azione giudiziaria motivata da ragioni politiche. Weber aveva chiesto di «non politicizzare» la questione. Ma l’intera vicenda si è caricata di significato politico, diventando uno scontro tra due visioni opposte di Europa: quella che considera lo Stato di diritto un principio negoziabile e quella che lo difende come fondamento democratico.

La destra e la memoria corta

Le reazioni in Italia raccontano l’imbarazzo. Il generale Vannacci ha parlato di «vergogna». Procaccini ha accusato la sinistra di «legittimare la violenza». Ma l’indignazione stride con la memoria recente. La stessa destra che oggi invoca la revoca dell’immunità in nome della giustizia è quella che per anni ha difeso Silvio Berlusconi, sostenendo che «era stato votato dal popolo» e che quindi meritava protezione. Allora l’immunità era sinonimo di mandato popolare. Oggi, per un’avversaria politica, diventa un abuso. Il doppio standard è evidente: si esalta il voto quando garantisce impunità, lo si condanna quando tutela un principio.

Ilaria Salis, in Aula a Strasburgo, ha definito l’esito «una vittoria per la democrazia, per lo Stato di diritto e per l’antifascismo». Non un gesto di autoassoluzione, ma un richiamo all’Europa dei diritti, quella che ancora resiste sotto la superficie delle alleanze.

Nel centrodestra europeo resta la crepa. Il voto segreto ha rivelato che, dietro le formule sull’unità e sull’“alternativa alle sinistre”, convivono due linee inconciliabili: chi accetta la subordinazione politica all’Ungheria di Orbán, e chi riconosce che l’immunità parlamentare è una garanzia di libertà, non un privilegio.

Un solo voto di scarto ha messo in crisi la retorica dell’unità. E ha ricordato, anche a Roma, che la coerenza non si misura con gli slogan, ma con la tenuta davanti alle regole.