Spese militari, il Documento pluriennale conferma l’impennata: l’Italia entra nei Paesi Nato di fascia alta

Il nuovo Documento di programmazione pluriennale riduce la trasparenza e consolida la corsa alle armi: 130 miliardi in 15 anni

Spese militari, il Documento pluriennale conferma l’impennata: l’Italia entra nei Paesi Nato di fascia alta

Il nuovo Documento Programmatico Pluriennale della Difesa 2025–2027 è arrivato alle Camere con un contenuto che segna un passo deciso verso l’opacità. L’Italia, secondo il documento, avrebbe già raggiunto nel 2025 la soglia del 2% del Pil in spesa militare, obiettivo fissato dalla Nato e poi innalzato nel vertice dell’estate 2025. Ma il DPP non spiega come sia stato calcolato quel traguardo: le voci aggiuntive non vengono indicate e mancano le consuete tabelle sui conteggi inviati a OSCE e SIPRI, i principali istituti di monitoraggio internazionale.

L’Osservatorio Mil€x parla di un “taglio netto della trasparenza” rispetto ai precedenti documenti, in cui era possibile seguire l’evoluzione pluriennale dei programmi d’investimento e verificarne l’impatto economico. Ora quei dati non ci sono più: sono spariti i costi pregressi dei sistemi d’arma, impedendo un confronto con gli anni passati. La spesa cresce, ma le informazioni diminuiscono.

130 miliardi di euro per nuovi armamenti

Mil€x è riuscito comunque a ricostruire il quadro complessivo. Nei prossimi quindici anni l’Italia investirà oltre 130 miliardi di euro in nuovi sistemi d’arma, più 9 miliardi per infrastrutture militari. Di questi, 35 miliardi sono già stati stanziati e consolidati nelle leggi di bilancio precedenti. I settori che assorbiranno le maggiori risorse sono quello aereo e quello terrestre, seguiti da navi, munizioni e programmi di manutenzione. È un piano di lungo periodo, che impegna la spesa pubblica per decenni e sottrae margini alle politiche civili.

La nuova pianificazione avviene “a legislazione vigente”, cioè senza includere gli ulteriori 23 miliardi di aumento per la Difesa previsti dal Documento di Finanza Pubblica. Sommando queste cifre, il quadro del riarmo italiano diventa ancora più chiaro: un’espansione costante, non temporanea, con livelli di investimento che si proiettano ben oltre l’attuale legislatura.

Meno controllo democratico, più spesa militare

La progressiva riduzione della trasparenza nei DPP è una costante che accompagna la crescita della spesa. Nel 2018 il Ministero della Difesa pubblicava documenti di oltre 600 pagine con dettagli su programmi, fornitori, cronoprogrammi e cifre aggiornate. Nel 2025 il DPP si limita a un riepilogo sintetico senza riferimenti comparabili. I parlamentari ricevono un testo che non consente un controllo effettivo, e la società civile deve ricorrere a stime indipendenti come quelle di Mil€x.

L’Italia entra così nella fascia alta dei Paesi Nato per impegno finanziario, ma nella fascia bassa per trasparenza. Le scelte strategiche restano nelle mani del Ministero e dei vertici militari, mentre l’opinione pubblica non può valutare a quali obiettivi concreti servano quegli investimenti.

Un riarmo strutturale fuori dal dibattito

Il DPP 2025 conferma una tendenza ormai consolidata: l’Italia sta costruendo un riarmo strutturale. Gli stanziamenti pluriennali vincolano le risorse pubbliche ben oltre i mandati elettorali, mentre il dibattito politico resta marginale o assente. La spesa militare italiana era al 1,5% del Pil nei documenti precedenti: mezzo punto di Pil in più significa circa 10 miliardi di euro l’anno. Un aumento che non ha mai ricevuto una discussione parlamentare proporzionata.

Il rischio, spiega Mil€x, è “un sistema di spesa fuori controllo democratico, in cui la crescita diventa automatica e il controllo si riduce a un atto formale”. La corsa agli armamenti procede silenziosa, dentro le pieghe dei bilanci e delle tabelle cancellate. E mentre si moltiplicano le crisi internazionali che richiederebbero diplomazia, l’Italia investe sul futuro delle armi.